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Raffaella Giuliani
Leggi i suoi articoliLa pandemia che oggi sconvolge il nostro Paese e le nostre vite richiama alla mente i virus del passato con la loro scia di lutti testimoniata dalla letteratura antica. In particolare mi ricorda un’entusiasmante scoperta che, del tutto casualmente, ho potuto fare nelle catacombe romane dei SS. Marcellino e Pietro. Nell’estate del 2003 fui chiamata a un sopralluogo d’emergenza a causa dell’apertura di una vasta voragine in un giardino privato al di sopra delle catacombe: il dissesto era stato provocato dalla rottura di una conduttura idrica e l’acqua aveva invaso ambienti ancora ignoti dell’importante cimitero cristiano dell’antica via Labicana.
Si trattava di una situazione di routine visto che i monumenti sotterranei sono in costante, e spesso penalizzante, coabitazione con le infrastrutture della città moderna. Una volta cessato il flusso idrico, si è passati allo scavo per rimuovere il crollo di detriti ed è solo a quel punto che ho fatto un’eccezionale serie di scoperte: non solo un santuario dedicato a un gruppo di martiri, ma anche una sequenza di camere funerarie con migliaia di scheletri.
Il santuario martiriale è decorato con pitture di VI-VII secolo ed è dedicato probabilmente ai 40 Martiri di Sebastia, che gli antichi itinerari enumeravano tra i diversi centri di venerazione di questo cimitero. Le camere funerarie, invece, consistono in una serie di ambienti, di forma totalmente differente da quelli consueti nelle catacombe, completamente stipati di scheletri disposti in modo ordinato. Lo scavo di tali contesti, peraltro in pessimo stato di conservazione a causa anche dell’infiltrazione alle origini della scoperta, non poteva essere affrontato in modo approssimativo, ma richiedeva competenze specifiche di altissimo livello scientifico.
A questo punto, grazie a una convenzione tra la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, ufficio della Santa Sede competente per le catacombe cristiane di Roma e d’Italia, e l’Ėcole Française de Rome, sono comparsi provvidenzialmente sulla scena gli archeoantropologi Dominique Castex, dell’Università di Bordeaux, e Philippe Blanchard, dell’Institut National de Recherches Archéologiques Préventives, entrambi esperti riconosciuti dello scavo di sepolture multiple, ossia di individui sepolti simultaneamente.
Grazie alla competenza dei colleghi francesi è stato affrontato chirurgicamente nel corso di alcune campagne uno scavo molto complesso: gli scheletri, che possiamo stimare in alcune migliaia, si presentavano disposti a strati con cura all’interno delle camere, ma senza soluzioni di continuità, per cui, a causa dell’esorbitante tasso di umidità, avevano costituito una sorta di banco osseo in cui era fondamentale, al momento dello scavo, registrare il maggior numero possibile di osservazioni, che diversamente sarebbero andate perdute.
I corpi hanno rivelato un trattamento funerario sofisticato, con uso di sostanze balsamiche provenienti da regioni remote dell’Impero (ambra rossa del Mar Baltico, incenso dello Yemen, sandaracco del Nord Africa), come hanno provato le successive analisi di laboratorio, tuttora in corso. In genere i cadaveri risultano abbigliati e poi avvolti entro sudari: tra questi e i corpi è presente uno strato di materiale gessoso, secondo un’usanza attestata in antico in cimiteri africani e militari. Purtroppo non sono stati recuperati molti reperti mobili, ma solo poche monete, la più antica di Tito Cesare (74 d.C.) e la più recente di Ostiliano Cesare (251 d.C.).
Questi orizzonti cronologici sono confermati anche dalle analisi al radiocarbonio, che provano che l’attività di deposizione dei cadaveri sarebbe avvenuta tra il I secolo e la metà del III, quindi in una fase anteriore rispetto alle catacombe dei SS. Marcellino e Pietro, la cui origine si data alla seconda metà del III secolo.
L’assenza di lesioni traumatiche nei cadaveri finora analizzati, circa 500, ha fatto escludere un evento bellico o un massacro all’origine di tali sepolture collettive. La disposizione dei corpi ha fatto pensare a una simultaneità nel processo di occupazione delle camere, anche se nel prosieguo delle indagini è apparsa più probabile una certa gradualità, in quanto gli ambienti non avrebbero potuto fisicamente accogliere tutti i cadaveri, se questi fossero pervenuti simultaneamente. In ogni caso è evidente che all’origine di questi contesti ci sia una crisi di mortalità, un evento di natura epidemica, che, sulla base delle cronologie prima indicate, si potrebbe collocare nel contesto della famosa Peste antonina, o in una sua recrudescenza.
Sappiamo che tale terribile epidemia avrebbe decimato, in varie ondate, la popolazione dell’Impero. Al riguardo, ci illuminano le testimonianze contemporanee di Galeno, Elio Aristide, gli scrittori della Historia Augusta, Dione Cassio (che racconta che il morbo a Roma, nel 189, mieteva sino a duemila vittime al giorno!), fino agli storici più tardi Ammiano Marcellino, Eutropio e Orosio. Di tale peste, tuttavia, non sono state finora riconosciute testimonianze archeologiche dirette, il che aveva portato gli studiosi a sottovalutare le affermazioni iperboliche degli storici antichi.
Per questo sarebbe veramente molto importante individuare mediante le più aggiornate tecniche di laboratorio il Dna batterico eventualmente presente sui cadaveri, anche se i tentativi finora condotti, a causa del pessimo stato di conservazione dei resti ossei, non hanno dato i risultati sperati. In ogni caso il contesto dei SS. Marcellino e Pietro è ritenuto unanimemente dagli studiosi di archeoantropologia, di virologia e di epidemiologia di interesse eccezionale e lo studio di laboratorio dei campioni prelevati è destinato certamente a riservare ancora molte sorprese.
Raffaella Giuliani
Ispettore delle Catacombe di Roma Pontificia Commissione di Archeologia Sacra
Città del Vaticano
CRONACHE DALLA ROMA SOTTERRANEA 1
CRONACHE DALLA ROMA SOTTERRANEA 2
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