Raffaella Giuliani
Leggi i suoi articoliL’antichissimo borgo di Boville Ernica, nel cuore della provincia di Frosinone, conserva una delle più antiche scene della Natività: è scolpita sul coperchio di un sarcofago paleocristiano, custodito nella Chiesa di San Pietro Ispano. Il tempio fu costruito in epoca romanica sulla grotta in cui, secondo la tradizione, il santo proveniente da Cadice si ritirò in penitenza dopo aver combattuto i Mori, continuando a vestire la cotta militare che gli lacerava le carni.
La chiesa, oggi annessa al monastero delle Suore Benedettine, naturalmente insieme a tutto il borgo di Boville merita certamente una visita: è ricchissima di tesori d’arte, tra cui preziose spolia provenienti dall’atrio della basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano, quali un tondo musivo con angelo attribuito a Giotto, messo in relazione con il celebre mosaico vaticano della «Navicella», e una croce in porfido posta alla venerazione dei pellegrini in occasione dei giubilei (si dice che sia stata baciata anche da Dante nel 1300), oltre, ancora, a opere d’arte finissime di Andrea Bregno, Sansovino e Benvenuto Cellini.
Le preziose reliquie vaticane sarebbero giunte a Boville, allora detta Bauco, grazie a monsignore Giovanni Battista Simoncelli, cameriere segreto di Paolo V, che le prelevò durante le demolizioni della basilica costantiniana e le trasferì a Bauco, di cui era nativo, per la fondazione del monastero benedettino.
È invece molto più recente l’arrivo nella chiesa del santo patrono di Boville del suo celebre sarcofago paleocristiano: rinvenuto nel 1941 durante scavi agricoli nella vicina località di Contrada Sasso, dove forse si trovava un edificio sacro pertinente a un insediamento cristiano, fu trasportato nel 1947 nella collocazione attuale, fungendo da altare secondario nella cappella del braccio destro del transetto.
Il sarcofago si presenta come un’opera originale e particolarissima, che dal momento della sua scoperta ha intensamente impegnato gli studiosi nell’esegesi delle sue, talora enigmatiche, iconografie. La fronte della cassa è decorata da un cancello a due ante, riprodotto fedelmente in tutti i suoi particolari, quali i battenti a graticcio, con incroci fissati da rivetti, le rotelle che consentivano l’apertura dei battenti mediante scorrimento su rotaie, gli stipiti e la serratura con gancio che ne simula la perfetta chiusura.
Il cancello era sostenuto da due pilastrini scanalati, di cui è rimasto solo il destro. Il motivo del cancello è piuttosto raro nei sarcofagi, ma dal punto di vista iconografico si può ricondurre a quello, molto più frequente nella scultura funeraria antica, della porta, a volte socchiusa, che vuole rappresentare il transito dalla condizione caduca di questo mondo a una sconosciuta dimensione ultraterrena, che in chiave cristiana si traduce in una speranza di vita eterna, di resurrezione. In più, la simulazione del cancello può suggerire il locus amoenus, quel giardino che per definizione era cinto e chiuso da grate e cancelli, giardino che nell’ottica cristiana è il paradiso, regno dei Beati.
Il coperchio del sarcofago si presenta come una semplice lastra, coronata frontalmente da una appendice verticale, detta alzata o attico, decorata. Al centro due putti alati sorreggono la tabula inscriptionis, un cartiglio recante in genere inciso il nome del defunto: purtroppo l’iscrizione è assente, forse perché non vi è stato il tempo di inciderla, forse perché dipinta e successivamente scomparsa, lasciando inappagato il desiderio di noi moderni di conoscere il nome del proprietario del sarcofago.
A sinistra del cartiglio si dispone la scena dei tre fanciulli ebrei nella fornace di Babilonia, narrata nel libro del profeta Daniele. A destra della tabula si sviluppa un’articolata scena di Natività, una sorta di presepe paleocristiano, quasi nove secoli prima di Greccio. La narrazione procede da sinistra e si apre con il viaggio dei Magi recanti i doni al Bambino, guidati dalla stella. Seguono il bue e l’asino, dietro ai quali si trova un personaggio maschile piuttosto enigmatico, la cui identificazione oscilla tra san Giuseppe (che però compare nell’arte cristiana più avanti), un profeta, un angelo o un pastore: quest’ultima, forse, è la chiave di lettura facilior e anche più fedele al passo evangelico.
Il Bambino fasciato nella culla viminea, con la sua rappresentazione fuori scala vuole chiaramente costituire il fulcro della scena. La sacra cuna è riparata da una realistica tettoia a embrici sostenuta da pali dinanzi alla quale sta semisdraiata una figura femminile, anch’essa di non facile decodificazione, per la quale si è pensato a una personificazione simbolica di Betlemme, oppure, ricorrendo all’apporto delle storie apocrife del protovangelo di Giacomo, a Salome, la levatrice dubbiosa circa il parto virginale di Maria, oppure, ancora, a una semplice donna del popolo giunta assieme ai pastori ad adorare Gesù Bambino.
Chiude il presepe baucense una bellissima immagine di Maria seduta, avvolta discretamente nel mantello che osserva assorta, sostenendo il mento con la mano, il grande mistero dell’Incarnazione, che Boville ci ha restituito in una delle sue prime versioni, probabilmente elaborata dagli scultori di un’officina marmoraria romana tra il 330 e il 350.
LA NATIVITÀ NELL'ARTE
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