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Archeologi dell’Università degli Studi di Ferrara impegnati nello scavo di via Appia Antica 39 a Roma

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Archeologi dell’Università degli Studi di Ferrara impegnati nello scavo di via Appia Antica 39 a Roma

Lo scavo di via Appia 39: un paesaggio «al limite»

È ripartita la nuova campagna di scavo nel sito di via Appia Antica 39, nel cuore del Parco Archeologico e del Parco Regionale, al di fuori delle Mura Aureliane e vicino al Sepolcro di Geta

Raffaella Giuliani

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Lo scavo è sotto la direzione scientifica di Rachele Dubbini, dell’Università degli Studi di Ferrara, in regime di concessione del Ministero della Cultura - Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Le attività di scavo, finanziate dalla fondazione Patrum Lumen Sustine - PLuS Stiftunge dall’Associazione L’Italia Fenice, sono dirette da Fabio Turchetta.

L’intervento si svolge in un’area di proprietà del Comune di Roma posta a poche centinaia di metri al di fuori delle Mura Aureliane, liberata da utilizzi impropri, attualmente in condizioni di grave degrado e singolarmente finora mai indagata da uno scavo archeologico con finalità di ricerca, benché essa si situi nello spazio in cui l’Appia Antica supera la valle dell’Almone, costituendo una sorta di limes della città di Roma.

Questo carattere di zona di passaggio è testimoniato dai tanti riferimenti religiosi che in questo spazio trovarono localizzazione: dalla ninfa Egeria al santuario di Marte Gradivo, scenario, secondo alcuni, nel 258, dello sconvolgente sacrificio di papa Sisto II e dei suoi diaconi, all’incontro di San Pietro con Cristo, che ha lasciato la sua testimonianza materiale nella piccola chiesa detta del Domine quo vadis? Dubbini ha dedicato molti studi a quest’area e, in generale, alle memorie antiche, ricche di valenze magico-religiose, della valle della Caffarella.

L’attuazione di uno scavo in un settore di così alto potenziale archeologico è pertanto un’operazione meritevole della massima attenzione, non solo da parte degli addetti ai lavori. Infatti, la divulgazione del progetto di ricerca è uno dei temi che più stanno a cuore all’équipe di scavo, il Laboratorio universitario ECeC (Eredità Culturali e Comunità) dell’Università di Ferrara, che ha orientato le sue attività archeologiche, condotte con rigorose e aggiornate metodologie multidisciplinari, alle parole d’ordine «accedere, comprendere, partecipare».

«Il laboratorio di archeologia, sottolinea Dubbini, indaga il paesaggio culturale della via Appia nel corso del tempo, in un luogo critico, dalle forti contraddizioni tra gli interessi pubblici e privati e si fonda sui principi dell’archeologia pubblica: le attività didattiche e di ricerca si svolgono in sinergia con istituzioni e cittadinanza all’insegna di un’archeologia partecipata».
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Strumenti fondamentali per coinvolgere la comunità sono la comunicazione (affidata a Olga Osipova e a Lorenzo De Cinque, coordinati da Francesco Massimi) e le visite guidate durante le campagne di scavo, affidate a Chiara Maria Marchetti, con cui veicolare il contesto archeologico e i temi scientifici che esso investe in modo chiaro e comprensibile a tutti, come dimostra il gran numero di partecipanti registrato finora. Un altro aspetto peculiare di questa esperienza di scavo è la «Call for artists and architects», lanciata già lo scorso anno, allo scopo di includere nel progetto nuove professionalità per valorizzare il potenziale culturale del sito e garantire ad esso interdisciplinarità e internazionalizzazione.

Fabio Turchetta illustra i primi risultati ottenuti dalle indagini: «A poco più di un metro di profondità dal piano di calpestio moderno, sono state intercettate le murature di un ampio complesso funerario. Dell’intera superficie del saggio, pari a circa 80 mq, il 33% è occupato da ambienti organizzati in due piccole strutture verosimilmente pertinenti a singole famiglie o piccoli gruppi familiari. Oltre a queste, molto interessante risulta essere un colombario in opera laterizia di eccezionale fattura, costituito da due vani intonacati e contraddistinti da nicchie a pianta circolare e quadrangolare, ognuna delle quali ospita due coppie di urne cinerarie inserite direttamente nelle murature, per un totale complessivo di 22 olle fittili».

Il complesso funerario indagato copre un arco cronologico compreso tra la prima e la media età imperiale, a cui si sono aggiunte, in età tarda, alcune tombe a inumazione realizzate in uno spazio esterno agli edifici: «Si tratta, spiega Turchetta, di tombe singole, con deposizioni supine e in un caso i resti ossei mettevano in evidenza l’uso di un sudario».

Dunque, i ritrovamenti archeologici emersi finora sembrano indicare una notevole trasformazione del paesaggio antico, per cui, tra la fine dell’età repubblicana e l’epoca imperiale, i lembi del vastissimo campus del santuario di Marte Gradivo più prossimi alla via Appia furono invasi dalla città dei morti, mentre il culto del dio della guerra si trasferiva piuttosto nel tempio urbano di Marte Ultore.

Archeologi dell’Università degli Studi di Ferrara impegnati nello scavo di via Appia Antica 39 a Roma

Raffaella Giuliani, 07 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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