«Le opere parodistiche, quelle burlesche o ironiche, ma più in generale le opere che rivisitano un’opera altrui sono tali nella misura in cui mutano il senso dell’opera parodiata, in modo tale da assurgere al ruolo di opera d’arte autonoma, come tale degna di autonoma tutela». Non c’è azzeccagarbugli che possa competere con questo straordinario gioco di parole in quanto, come ci ricorda Il marchese del Grillo dell’indimenticabile Alberto Sordi, «quanno se scherza bisogna esse seri».
Il testo è uno stralcio della sentenza che ha coinvolto l’artista americano John Baldessari accusato di plagio dalla Fondazione Giacometti in occasione della mostra «The Giacometti Variations» realizzata nel 2011 alla Fondazione Prada di Milano. L’artista americano aveva in effetti riprodotto la scultura «Grande Femme» di Giacometti ma ingrandendola, allungandola e aggiungendovi alcuni abiti ripresi dal mondo del cinema e dell’arte.
Tutto ciò è sufficiente a giustificare come autonomo e originale il lavoro di Baldessari? Sicuramente sì in base alla decisione del Tribunale di Milano che sviscera, meglio di tanti critici d’arte, anche l’aspetto filologico del progetto affermando che «la figura femminile è scarnificata per i rigori della guerra nella realizzazione di Giacometti, mentre nella rivisitazione di Baldessari la donna è indotta all’estrema magrezza dalla moda, dai suoi riti ed eccessi».
Il caso Baldessari-Giacometti-Prada è solo uno dei tanti descritti in L’opera d’arte in tribunale (postmedia books) a cura di Alessandra Donati e Novelio Furin, rispettivamente avvocatessa, docente, ed esperta di diritto dell’arte e avvocato penalista, nonché incallito collezionista. Sebbene il titolo possa sembrare un po’ ostico e il volume non presenti alcuna immagine, si tratta di un casebook avvincente come un thriller. Ogni volta il caso è aperto e non è sempre facile comprendere chi sia il vero colpevole. La ricca documentazione e l’approfondita analisi sono arricchite da molti esempi pratici con la pubblicazione delle sentenze precedentemente sintetizzate attraverso l’uso di un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori. Il libro ci mette di fronte alla complessità interpretativa dell’arte contemporanea (come sappiamo non priva di bluff) che richiede strumenti di giudizio aggiornati in un sistema dove «il concetto di creatività non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta», come scrive Donati.
È evidente, dunque, come le sentenze abbiano spesso una base soggettiva, soprattutto quando entra in ballo l’appropriation art, ovvero la capacità di appropriazione di lavori altrui, pratica oggi assai in voga. Rientra in questa definizione la querelle Baldessari-Giacometti, così come la causa vinta da Art Rogers contro Jeff Koons. Il primo aveva eseguito uno scatto fotografico dei propri clienti Jim Scarlon e di sua moglie, insieme alla loro nuova cucciolata di otto cani di razza pastore tedesco. L’immagine dal titolo «Puppies» ebbe molto successo. Quando Koons la vide decise di realizzare una scultura il più possibile simile alla foto, intitolandola «String of Puppies».
Di fronte alla denuncia di Rogers, Koons si era difeso affermando che c’era una differenza tra i due media, dunque, non si sarebbe trattato di plagio. Non c’è stato nulla da fare e la Corte americana ha sentenziato che la scultura non era nient’altro che un’opera derivata. Sono molti gli episodi che rendono il libro stimolante, in una narrazione non priva di paradossi. Come appare evidente da un’opera di Mimmo Rotella retrodatata dallo stesso artista agli anni Sessanta malgrado presentasse nella parte retrostante le indicazioni di un sito internet successivo. L’incongruenza è stata considerata legittima in quanto secondo l’articolo 20 «l’artista è libero di far risalire la datazione dell’opera non alla sua realizzazione ma ad un antecedente momento ideativo». In tal modo rischiano di salvarsi anche talune testimonianze di Giorgio de Chirico o di Mario Schifano.
Diviso per capitoli tematici il libro, insieme a casi molto noti come quello intentato, ma perso, da Daniel Druet contro Maurizio Cattelan che pretendeva di essere menzionato in quanto eseguì otto delle sue sculture, include contenziosi che hanno coinvolto un collezionista di Sol LeWitt che ha intentato la causa, vincendola, contro la gallerista che aveva misteriosamente perso l’autentica dell’artista con le istruzioni per creare l’opera murale.
O il primo pronunciamento nel 2022 da parte dell’Alta Corte Britannica sugli Nft considerati oggetto di proprietà e come tali meritevoli di tutele legali. Così la signora Lavinia Osbourne, dopo aver subito il furto del suo wallet digitale, è riuscita nella rara impresa di recuperarlo. Beata Lavinia! Qualche volta capita persino che la storia di Davide e Golia diventi realtà. È accaduto a Emilio Isgrò che nel 2017 ha vinto la causa contro Roger Waters, ex membro dei Pink Floyd, e la potente Sony Music, per aver messo in circolazione una copertina che riproduceva una sua celebre «cancellatura» risalente al 1964. «Another brick in the wall», canta Waters. Ma questa volta il mattone sul muro l’ha messo Isgrò.
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