La collettiva estiva «Soft Fantasy/Hard Reality» da Silverlens a New York (dal 20 giugno al 24 agosto) riunisce una corte di artisti da varie parti dell’Asia, e della sua diaspora, per un’esplorazione futuristica di una realtà corporea e identitaria oggi in costante evoluzione, nonostante la resistenza di diversi sistemi sociali conservativi che persistono in alcune parti del Sud-est orientale. A curare la mostra è la stessa Isa Lorenzo, fondatrice della galleria originaria di Manila, Filippine, che da due anni ormai ha aperto una sede nella Grande mela.
Muovendosi fra fisicità, subconscio e immaginazione, nella prima sezione tematica «Shapeshifters» le opere di Ming Wong, Wai Kin Sin e Tosh Basco manipolano la narrazione video e performativa sfidando concezioni tradizionali. Nel video «Bloody Marys - Song of the South Seas» Ming Wong offre la sua interpretazione dell’omonimo personaggio del film-musical «Bloody Mary in South Pacific» (1948), rivelando le percezioni razziali dell’America dell’epoca. In «Differences» (2020) and «The Storyteller» (2023) Wai Kin Sin inscena invece improbabili dialoghi tra drag queen, che abbandonano i codici narrativi convenzionali, per riformulare identità e desiderio nel regime libero permesso dall’inconscio. Fra pittorico e performativo, in mostra troviamo poi una serie di «disegni del corpo» di Tosh Basco: tracce corporee, ottenute con pigmento blu su carta, creano rappresentazioni fisiche ed emotive della sua figura in movimento ricordando i primi esperimenti fotografici.
Nella seconda sezione, «Guardians», le artiste Geraldine Javier, Eisa Jocson, Citra Sasmita e Yasue Maetake portano invece l’attenzione sugli sforzi essenziali, ma spesso trascurati, del lavoro femminile e delle modalità di protezione e cura, atti non soltanto per mantenere l’ordine ma anche per immaginare possibilità di trasformazione. Gli arazzi dell’artista-contadina filippina Geraldine Javier reimmaginano dinamiche di potere, memoria collettiva e narrazioni sociali interpretando le raffigurazioni propagandistiche del dittatore Ferdinando e di Imelda Marcos come eterei eroi del folklore filippino pre-coloniale: integrandovi la flora con una «eco-stampa», l’artista rivela così continui cicli naturali di trasformazione e rigenerazione aldilà del corso della storia. Citra Sasmita sfata invece gli stereotipi sull’arte e cultura balinese, mettendo in discussione i costrutti normativi relativi al ruolo della donna a partire dall’appropriazione di una tecnica tradizionale pittorica solitamente esercitata da uomini. Mentre una serie di sculture ibride, realizzate con materiali industriali dall’artista giapponese Yasue Maetake, suggeriscono un processo alchemico in divenire, la coreografa, danzatrice e artista Elsa Jocson, esplorando la politica del corpo, rivisita la sua prima performance pubblica «Stainless Borders; Deconstructing Architectures of Control» (2010) in cui utilizza l’architettura pubblica per la pole dance, sfidando le pratiche di controllo sul comportamento in pubblico.