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Sophie Seydoux
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Pioniere dell’esplorazione sottomarina e massimo esponente mondiale della fotografia subacquea, David Doubilet (New York, 1946) non era mai stato protagonista di una personale in Italia. A porre rimedio a questa lacuna hanno pensato la Fondazione CR Firenze e le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo che, in collaborazione con National Geographic, hanno promosso la mostra «Oceani» (catalogo Allemandi), aperta fino al 12 aprile 2026 a Villa Bardini. David Doubilet, ispirato dalla leggendaria figura dell’esploratore francese Jacques-Yves Cousteau (ma la passione per il mondo subacqueo cominciò da ragazzino: «Con mio padre costruimmo una custodia per la macchina fotografica usando una sacca da anestesista e una maschera. Con quell’aggeggio scattai le prime fotografie di pesci. Poi arrivò un sistema migliore e da allora ogni momento libero lo trascorrevo sott’acqua», ci ha dichiarato il fotografo), per oltre mezzo secolo ha percorso i mari di tutto il mondo documentandone la bellezza, raggiungendo luoghi incontaminati e realizzando scatti che gli hanno permesso di diventare uno dei più apprezzati professionisti della fotografia naturalistica.
Nel 1971 ha cominciato a lavorare per National Geographic, arrivando a realizzare 74 servizi, ma è anche l’autore di 12 libri, oltre che vincitore di prestigiosi premi fotografici. La mostra «Oceani» si costruisce attorno a un gioco di opposti ispirato alla tecnica over/under, inventata proprio da Doubilet e che mette a fuoco ciò che accade contemporaneamente sopra e sotto la superficie dell’acqua: «La superficie, sottile quanto una molecola, è la porta d’accesso al 70% della Terra, continua il fotografo. Ne sono rimasto affascinato già decenni fa e ho iniziato a realizzare immagini “half and half” che catturavano in un unico fotogramma il mondo conosciuto in superficie e quello nascosto sotto. Sono le mie immagini preferite, che si tratti di una barriera corallina o dei ghiacci polari. Ho imparato ad amare la fotografia degli iceberg e oggi li considero la metafora perfetta del mare: come l’oceano, solo una piccolissima parte di un iceberg è visibile ai nostri occhi».
Le oltre 80 immagini esposte non solo mostrano scenari mozzafiato (dalla Grande Barriera Corallina australiana al Tubbataha Reef National Park, dichiarato Patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco nel 1993 e che ospita oltre 300 specie di coralli e 400 di pesci) e istanti della vita animale marina, ma sono anche l’occasione per riflettere sui devastanti effetti del cambiamento climatico e delle attività umane. Con la moglie Jennifer Hayes, biologa marina e a sua volta fotografa subacquea, Doubilet è diventato un ambasciatore degli oceani e dell’importanza della loro salute per il nostro benessere. «Quando ho iniziato pensavamo che il mare fosse infinito, ma è finito e fragile, conclude Doubilet. Le mie fotografie testimoniano, attraverso la lente del tempo, ciò che il mare era e ciò che è ora. Gli squali sono diventati incontri rari, fantasmi nel mare. Le barriere coralline, dopo ripetuti episodi di sbiancamento, sono diventate cimiteri vuoti e in rovina. La pesca eccessiva ha svuotato il mare. La verità può essere devastante, ma esistono scienza e conservazione che funzionano. C’è più della speranza: ci sono aree in cui resilienza e recupero stanno avvenendo».
Una fotografia di David Doubilet per «National Geographic»