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Di Gemma in gemma

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

L'Associazione Acaia dona 21 opere

Acacia, l’Associazione amici dell’arte contemporanea italiana, ha donato al Museo del Novecento di Milano 21 opere, tutte realizzate tra il 2000 e il 2014. Ne sono autori  Mario Airò, Rosa Barba, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Grazia Toderi, Luca Trevisani, Tatiana Trouvé, Marcella Vanzo, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli, alcuni presenti con più opere. Dalla fine dell’anno questi lavori saranno esposti a rotazione nel museo, in chiusura del percorso, insieme a focus periodici sui singoli artisti. Nove di essi saranno però visibili sin dal 15 maggio nella mostra «Un Museo Ideale», realizzata dal Museo del Novecento per Expo. Motore dell’operazione è Gemma De Angelis Testa, vedova del celebre pubblicitario Armando Testa e fondatrice e presidente di Acacia, ma prima ancora collezionista d’arte contemporanea tra le più influenti.

Quando si è accesa in lei la scintilla del collezionismo?
Tutto deriva dall’infanzia. Vivevo allora a Salerno, in una casa che risale al 976 d.C. e che era stata un convento, profumata di glicini, dell’aroma delle piante di cappero, del profumo delle arance: un luogo colmo di bellezza. In casa c’erano moltissimi libri d’arte e a 12 anni ricevetti in dono da mio padre delle monografie di Morandi, Van Gogh e Modigliani. Me ne innamorai: credo che tutto sia nato allora. Anche se poi il collezionismo vero e proprio ha avuto inizio molti anni dopo.

Fu quando incontrò Armando Testa?
No: incontrai Armando Testa giovanissima, a vent’anni, e subito lo seguii a Torino. Lui era un artista, amico tra gli altri dei protagonisti dell’Arte povera, ma non voleva in alcun modo possedere arte: la nostra casa era una sorta di acquario, con grandi vetrate, ma non c’erano opere d’arte, nemmeno sue. Rifiutava l’idea del collezionismo «borghese» ma soprattutto non tollerava di essere distratto da alcuno stimolo visivo: appena sveglio iniziava a disegnare e non accettava distrazioni. Era però curiosissimo, molto interessato all’arte contemporanea, alla quale io, che ero ferma al moderno, fui introdotta da lui: frequentavamo la galleria di Sperone, la Galatea di Tazzoli e spesso nei fine settimana andavamo a Londra, Parigi o Basilea per mostre. Ne tornavamo carichi di emozioni ma mai di opere, perché lui sosteneva che le opere d’arte vanno viste nei musei o nelle gallerie, non nella propria casa che, era solito dire, «deve rimanere immacolata, come un foglio bianco». Solo in seguito iniziammo ad acquistare, ma sporadicamente, senza un vero disegno.

Quale fu il suo primo acquisto? E quando?
Negli anni Ottanta: era un lavoro di Cy Twombly che dapprima Armando detestò, ma che presto imparò ad amare.
Armando Testa aveva disegnato il logo del Castello di Rivoli, un museo allora straordinariamente vitale. Lo frequentavate spesso?
Certamente, ed è lì che, dopo la sua scomparsa, nel 1992, è iniziata la mia vera storia di collezionista: allora il museo non aveva una propria collezione e mi addolorava vedere come dopo quelle magnifiche mostre le sue sale restassero vuote. Acquistai opere di Spalletti, Tony Cragg, Vezzoli, Marlene Dumas, Vercruysse e Kiefer (di Kiefer un’intera stanza, grazie al coinvolgimento di altri collezionisti) e le diedi in comodato al Castello. Quando poi arrivarono i soci istituzionali e il museo ebbe la propria collezione, le ritirai, ma nel frattempo avevo indotto altri a seguire il mio esempio.

Era già, in germe, il principio di Acacia, l’associazione che ha poi realizzato a Milano, in vista di un museo che non c’era...
Quando poco prima del 2000 mi trasferii a Milano, mi resi conto con stupore che non solo non esisteva un museo di arte contemporanea ma che non c’era dialogo tra pubblico e privato. Riunii allora una decina di collezionisti (ma poco dopo, quando costituimmo Acacia, i soci fondatori erano già 60), con l’obiettivo di stimolare la realizzazione di un museo di arte contemporanea. Intanto iniziavo a creare la collezione Acacia, per sostenere da subito gli artisti italiani. E fu con l’identico obiettivo che inventai e curai le mostre «Invito», in cui i collezionisti aprivano le loro case a giovani artisti: fummo i primi, poi imitati da molti. Organizzai anche delle conferenze, frequentatissime, sull’arte contemporanea. E ora, dopo averla esposta con grande successo a Palazzo Reale, a Milano, nel 2012, e al Museo di Storia Naturale di Venezia nel 2013, abbiamo donato la collezione al Museo del Novecento, che l’ha accolta con grande entusiasmo: la nostra speranza è che questo gesto possa indurre i milanesi a ritrovare la generosità di un tempo.

Intanto è cresciuta anche la sua collezione: ha mai pensato a una futura destinazione pubblica?
Se ci fosse un museo «solido» del contemporaneo, un museo in cui vedessi una vera continuità, sì, potrei pensarci.

Ada Masoero, 08 aprile 2015 | © Riproduzione riservata

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