Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliSono ancora qui. Sono passati circa sessant’anni dalla drammatica alluvione del 1966 che mise in ginocchio Venezia. Sulla sua onda emotiva, diffusa in tutto il mondo, sorsero i Comitati privati internazionali per la salvaguardia di Venezia, che ancora oggi continuano a svolgere un’azione instancabile e fondamentale per la tutela del patrimonio artistico e architettonico della città. Azione che negli ultimi anni si è allargata anche alla difesa del tessuto sociale e alla ricerca di alternative per una Venezia soffocata dalla monocultura turistica.
Alla guida dei Comitati come presidente è da quasi sei anni Paola Marini, storica dell’arte, già direttrice dei Musei Civici veronesi e poi delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il suo mandato, rinnovabile, scade tra pochi mesi ed è dunque il momento di un bilancio sullo stato di salute dei Comitati e sulle loro prospettive future.
Dottoressa Marini, come stanno i Comitati privati?
Sono vivi e vegeti, sempre più impegnati e attenti alle esigenze del patrimonio artistico veneziano, bisognoso di una cura continua. Ho compreso la loro importanza in particolare quando ero direttrice delle Gallerie dell’Accademia. Dopo la riforma dell’allora ministro della Cultura Dario Franceschini, anche i grandi musei non riescono più a fare tutto da soli. Nelle Gallerie dell’Accademia, interventi come il riallestimento del ciclo canoviano e delle sale dedicate alla pittura del Sei e Settecento non sarebbero stati possibili senza l’aiuto dei Comitati privati. Lo Stato anche a Venezia si impegna in grandi stanziamenti come quello per la Biennale, ma i Comitati svolgono un’azione di «cucitura» sul territorio per il restauro del patrimonio artistico, che garantisce una rete capillare e continua di interventi.
Ormai non vi occupate più solo di restauri.
È così. Nuovi aderenti, come l’associazione Sumus, pensano al recupero delle tradizionali attività lagunari, anche a fini produttivi e occupazionali alternativi al turismo. E altri, come We are here Venice, hanno una particolare attenzione a tutte le problematiche ambientali. Ma abbiamo da poco lanciato il progetto «I futuri di Venezia», ideato dalla docente e imprenditrice Federica Olivares che immagina per la città un avvenire diverso, in cui ci sia spazio per i giovani non più costretti a scappare subito dopo la laurea per mancanza di possibilità di lavoro che non siano nel turismo, pensando invece a Venezia come a una città dell’innovazione legata alla cultura, alla ricerca, alla biotecnologia e ad altri tipi di attività produttive. Intorno a questi temi i Comitati hanno messo a lavorare un pool di esperti tra cui (accanto a Olivares e al banchiere e collezionista australiano Simon Mordant) ci sono i docenti Daniel Silver e Gail Lord, entrambi esponenti della School of Cities, l’istituto di ricerca dell’Università di Toronto che si occupa proprio di pianificare il possibile sviluppo delle città, coadiuvati nell’analisi dei dati da Javier Jiménez, professore dell’Universidad Politécnica di Madrid.
In pratica come procede il progetto?
Presto saranno a Venezia quattro studenti dall’Università di Toronto proprio per lavorare sul campo al progetto, con delle proposte di attività economiche che possano essere compatibili con la città storica.
Ormai l’azione dei Comitati privati sta diventando strutturale e non legata più al singolo restauro.
Un esempio straordinario è stato il Fondo di risposta immediata, ancora attivo, creato dal comitato statunitense Save Venice in occasione della grande acqua alta del 2019, intervenendo nelle chiese allagate anche per interventi di prima necessità come l’uso di pompe idrauliche. Ma penso anche all’azione di comitati come l’italoamericano Venetian Heritage, che quest’anno festeggia i 25 anni di vita e che ha «adottato» musei statali veneziani come Palazzo Grimani e la Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro.
I Comitati fanno anche da «sensori» a livello internazionale sui problemi di Venezia. Che cosa vi preoccupa maggiormente?
C’è naturalmente grande preoccupazione per l’affollamento turistico in costante crescita, ma anche per i problemi ambientali, pensando al futuro di Venezia, quando il Mose non sarà più in grado di proteggerla dall’innalzamento dei mari. Ma non si vuole comunque interferire con le politiche di governo della città. Siamo stati ascoltati dagli ispettori Unesco in occasione della loro recente visita per il nuovo rapporto sulla città e Toto Bergamo Rossi di Venetian Heritage è stato incaricato di esporre la nostra posizione, presentando tra l’altro la nostra Carta di Venezia e l’appello in 10 punti sui problemi della città da lui stesso predisposto.
Si ha l’impressione che a Venezia il ruolo fondamentale svolto dai Comitati privati sia un po’ sottovalutato. C’è forse anche un problema di comunicazione da parte vostra?
È vero. C’è chi sembra dare per scontato il ruolo che svolgiamo, chi lo considera una sorta di frivola bizzarria da parte di una specie di élite internazionale e chi forse prova solo un po’ di gelosia. Non c’è dubbio però che dobbiamo fare uno sforzo maggiore per comunicare meglio i risultati della nostra azione. Lo faremo.
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