Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliLa monumentale (500 x 380 centimetri) tela che si trova sulla volta dello scalone monumentale di Baldassarre Longhena nella Fondazione Cini a Venezia venne dipinto nel 1671 dal fiammingo Valentin Lefèvre. È l’unica opera pubblica veneziana dell’artista di origine belga e la più prestigiosa, dello stesso periodo del ciclo di teleri dei pittori Giovanni Coli e Filippo Gherardi per la biblioteca benedettina di San Giorgio Maggiore.
Lefèvre nacque a Bruxelles nel 1642 e si trasferì a Venezia giovanissimo per studiare i capolavori rinascimentali e, in modo particolare, le opere di Paolo Veronese. Nella città lagunare lavorò per il resto della sua vita riscuotendo un non comune successo e realizzando dipinti di straordinaria eleganza.
La tela della Fondazione Cini raffigura il sogno di Giacobbe a Bethel, profezia della discendenza eletta: una scala che univa cielo e terra dalla quale salivano e scendevano gli angeli a invitarlo a rinnovare l’alleanza stretta tra Dio e il popolo ebraico.
Per la prima volta da quando è stato posizionato, il dipinto è stato staccato e sarà analizzato e restaurato. Nel frattempo, Mauro Missori, fisico del Cnr e docente alla Sapienza, ha compiuto delle analisi con una tecnica e delle attrezzature innovative e sperimentali, in particolare sullo stato dei colori. Si tratta di una diagnostica a distanza che utilizza le stesse tecniche degli astrofisici. Con il telescopio lo stato di conservazione è risultato peggiore di quello che si può vedere ad occhio nudo e l’analisi colorimetrica ha portato alla luce, oltre allo strato da pulire, le lacune. Molti infatti i problemi che presenta il dipinto: estese cadute di colore, screpolature, decoesione della pellicola rispetto alla preparazione sottostante e un complessivo offuscamento della materia pittorica riconducibile a depositi di sporco. Alterazioni e iscurimento delle vernici, infine, contribuiscono ad alterare i valori cromatici e a rendere «Il sogno di Giacobbe» assai poco leggibile. Peraltro il cattivo stato di conservazione del dipinto è attestato sin dall’inizio dell’Ottocento, come si ricava dal rapporto di Pietro Edwards, pittore e restauratore attivo a Venezia a cavallo tra Sette e Ottocento.
Sono in programma la pulitura della superficie pittorica, l’asportazione dei materiali non originali di varia natura, quali vernici e ritocchi alterati, le operazioni di stuccatura con il ripristino delle discontinuità delle superfici e il trattamento delle lacune mediante l’integrazione pittorica. Si procederà infine all’applicazione della verniciatura mediante materiale idoneo a proteggere la pellicola pittorica e a conferire la piena leggibilità dell’opera nelle sue diverse componenti tonali e cromatiche.
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