Francesco Bandarin
Leggi i suoi articoliIl patrimonio è solitamente associato a luoghi di bellezza artistica o naturale e a siti di importanza storica. Il turismo ha contribuito alla promozione di siti archeologici, monumenti, aree storiche, paesaggi e parchi nazionali come «buon» patrimonio, dove i visitatori possono trascorrere tempo dedicandosi alla scoperta e al godimento estetico delle bellezze della cultura e della natura.
Ci sono però anche molti siti patrimoniali in luoghi dove si sono verificati eventi tragici: battaglie, genocidi, massacri, attacchi terroristici, torture, imprigionamenti e violazioni dei diritti umani. Questo patrimonio, spesso definito «dissonante» o «negativo», attira oggi sempre più l’attenzione del pubblico e della politica.
Ieri: «anomalia»
Anche la Convenzione del patrimonio mondiale è stata formulata principalmente per la salvaguardia della «bellezza» del nostro mondo, ed è poco attrezzata per gestire un patrimonio «negativo». Infatti, quando il campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau in Polonia fu iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale nel 1979, il Comitato del Patrimonio Mondiale indicò che doveva essere considerato un caso speciale e che si doveva escludere l’iscrizione di altri siti di questa natura. Ma da allora, molti altri siti «dissonanti» sono stati iscritti nella lista, come il Memoriale della Pace di Hiroshima in Giappone, che ricorda l’esplosione della prima bomba atomica, «eccezionalmente» accettato nel 1996, dopo un acceso dibattito, per l’opposizione di alcuni Stati membri che criticavano l’assenza di una valutazione del contesto storico e del riconoscimento della sofferenza di altre Nazioni.
Nel 1999, seguì l’iscrizione dell’Isola di Robben a Città del Capo in Sudafrica, la prigione dove l’attivista e futuro presidente Nelson Mandela (1918-2013) trascorse 18 dei 27 anni della sua detenzione. Altri siti di patrimonio «dissonante» continuarono a essere proposti, specialmente tra quelli connessi allo schiavismo, con l’iscrizione dell’Isola di Gorée in Senegal, che per più di tre secoli fu un importante snodo della tratta schiavistica dall’Africa alle Americhe; del Sito archeologico di Cais do Valongo a Rio de Janeiro, il molo dove gli schiavi africani sbarcavano dopo aver attraversato l’Atlantico; e l’Aapravasi Ghat nello Stato insulare di Mauritius, nell’Oceano indiano, dove il Governo coloniale inglese aveva istituito un sistema di migrazione coatta di lavoratori indiani, trasferiti (senza possibilità di ritorno) per lavorare nelle piantagioni di zucchero.
Oggi: oltre 250 orribili memorie
Oggi, molti sono i siti di memoria legati a tragici eventi storici, come le carceri dei prigionieri inglesi deportati forzatamente, anche allo scopo di popolare la colonia, in Australia, o gli edifici della guarnigione militare di Barbados nei Caraibi, memoria del dominio inglese basato su un sistema di piantagioni schiavistiche.
Talvolta aspetti positivi e negativi coesistono, come nel caso delle Isole Solovki, un arcipelago nel Mar Bianco del Nord della Russia (Foto 5). Qui un monastero, fondato da una comunità di monaci ortodossi nel XV secolo, è un eccezionale esempio di architettura religiosa del XVI e XVII secolo. Con la Rivoluzione russa del 1917, tuttavia, venne trasformato in una prigione politica, il primo Gulag sovietico. Fu solo dopo il crollo dell’Urss che il Governo russo decise di restituire il controllo del Monastero di Solovki alla Chiesa Ortodossa Russa, che ha avviato il restauro degli edifici e riaperto il monastero al culto.
Ma l’Europa è piena di esempi di patrimonio «dissonante». Il Muro di Berlino, uno dei casi più celebri, illustra anche il cambiamento di approccio verso i siti di questo tipo. Dopo la caduta del muro nel 1989 e la riunificazione tedesca, la maggior parte del muro venne rimossa per cancellare le tracce di quella tragica vicenda. Ma dieci dopo anni l’opinione pubblica mutò di avviso e si espresse a favore della conservazione dei resti del muro, come monumento rappresentativo della storia della città. Un altro caso a Berlino è la Gedächtniskirche (Chiesa della Memoria), costruita in origine per commemorare il kaiser Guglielmo I (1797-1888) sulla Kurfürstendamm nel 1891-95. La chiesa neoromanica, gravemente distrutta durante la seconda guerra mondiale, fu parzialmente ricostruita in modo da mantenere le sue parti in rovina come memento per la pace e la riconciliazione. In Ucraina, il sito di Babi Yar a Kyiv è un memoriale di uno degli atti più orribili compiuti dagli Einsatzgruppen nazisti, le unità mobili di sterminio attive prima dell’istituzione dei campi di concentramento e dell’organizzazione della «soluzione finale». Nel 1941, oltre 100mila ebrei, prigionieri di guerra, zingari e civili ucraini furono uccisi e gettati in una fossa comune. In tempi più recenti, il massacro e genocidio di massa perpetrato nel 1995 a Srebrenica, in Bosnia, è ricordato al Memoriale di Srebrenica-Potočari.
In Italia, la Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole nelle montagne fuori Bologna ricorda 800 persone che furono uccise dalle SS naziste con l’aiuto dei fascisti italiani nel 1944. Oggi, l’area è un parco storico, dove si trovano le rovine degli ex villaggi e programmi educativi che esaminano il contesto storico di quel sistema di terrore. E naturalmente, sempre presente nella memoria collettiva è il massacro delle Fosse Ardeatine a Roma, con l’uccisione, da parte delle truppe di occupazione tedesche nel marzo del 1944, di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni. Il massacro di Nanchino, una delle peggiori atrocità della seconda guerra mondiale in Asia, fu perpetrato dall’esercito imperiale giapponese nel 1937 durante l’invasione della Cina, e vide lo sterminio di più di 200mila persone e più di 20mila stupri. Il Memoriale del Massacro di Nanchino, costruito nel 1985 vicino al sito di Jiangdongmen, dove furono sepolti migliaia di corpi, ricorda quelle atrocità e conduce iniziative di dialogo e pace. Il genocidio cambogiano, orchestrato dai Khmer Rossi tra il 1976 e il 1979, è ricordato al Museo del Genocidio di Tuol Sleng a Phnom Penh.
Un esempio recente di «patrimonio negativo» è il Memoriale Nazionale dell’11 settembre di New York, costruito sul sito dove sorgevano le torri gemelle del World Trade Centre fino all’attacco terroristico del 2001. Lo spettacolare memoriale e museo è diventato uno dei luoghi più visitati di New York, evocando la memoria del tragico attacco e delle 3mila vittime. A Santiago del Cile, un Museo della Memoria e dei Diritti Umani è stato inaugurato nel 2010 per ricordare 31mila vittime della dittatura di Augusto Pinochet, durata dal 1973 al 1990.
Quando un sito di memoria acquisisce una funzione di educazione pubblica, viene anche identificato come un «Sito di coscienza», un luogo cioè che preserva la memoria della sua storia ma si impegna anche attivamente nella promozione della giustizia e dei diritti umani. L’International Coalition of Sites of Conscience, un’organizzazione non governativa creata nel 1999 con base a New York, promuove la conservazione dei luoghi di memoria con l’obiettivo di far conoscere le relazioni fra le tragedie della storia e le questioni più contemporanee. Il programma, che conta più di 250 siti in tutto il mondo, conferisce al patrimonio un significato e una funzione speciali nella società, portando in evidenza temi che sono difficili da affrontare, anche perché a volte i responsabili e le vittime dei fatti rievocati sono ancora vivi. Esempi di questi siti di memoria sono la Scuola di Meccanica della Marina a Buenos Aires (Esma), una struttura militare che è servita come centro di tortura e detenzione extragiudiziale dal 1976 al 1983 per gli oppositori del colpo di stato in Argentina. Dal 2004, l’intera area è stata trasformata in uno Spazio per la memoria e i diritti umani, impegnato a informare il pubblico delle atrocità lì commesse. Constitution Hill a Johannesburg, in Sudafrica, la prigione dove furono detenute figure storiche come Mahatma Gandhi e Nelson Mandela, è diventata simbolo del regime dell’apartheid. Nel 1995, i giudici sudafricani la scelsero come sito per un nuovo Edificio della Corte Costituzionale, che ora ospita un museo che presenta il ruolo della prigione nella storia del Sudafrica e discute questioni di giustizia, accompagnando così la transizione del Paese alla democrazia.
Tensioni nell’Unesco: non solo guerra, anche torture e genocidi
Le tensioni all’interno della Convenzione del Patrimonio Mondiale dell’Unesco sono state di recente rinnovate dalla proposta di iscrizione di siti legati alla prima e alla seconda guerra mondiale, come i cimiteri di guerra o le spiagge dello sbarco in Normandia. Inoltre, la proposta di iscrizione di siti legati a vicende di tortura e a genocidi ha suscitato preoccupazioni tra gli Stati membri della Convenzione. Per orientare le decisioni su queste questioni delicate, il Comitato del Patrimonio Mondiale ha commissionato una «Riflessione sui Siti Associati con le Memorie di Conflitti Recenti» a due esperti di politiche del patrimonio mondiale: Christina Cameron (Canada, 1945), due volte presidente del Comitato del Patrimonio Mondiale, e la manager Olwen Beazley (Australia, 1961), esperta di patrimonio. Citando lo storico francese Pierre Nora (1931), che ha esplorato il tema della memoria nella sua opera filosofica, il rapporto ha sottolineato la differenza tra «memoria collettiva» e «memoria storica»: la prima centrata sulla conservazione della «coscienza memoriale», senza la quale la memoria portata da un luogo si trasforma in memoria «storica» quando scompaiono, con il tempo, le persone che sono state implicate nei tragici eventi.
Per quanto riguarda i siti legati a conflitti militari, come i campi di battaglia, il rapporto osserva che poiché in questi casi è sempre una parte a prevalere, si crea un ostacolo alla riconciliazione e alla costruzione della pace, che resta l’obiettivo principale delle Nazioni Unite. Il rapporto ha concluso che la Convenzione del Patrimonio Mondiale non è attrezzata, dati i suoi meccanismi e i suoi principi ispiratori, ad affrontare le dimensioni emotive e politiche che tipicamente caratterizzano la «memoria collettiva». Dopo lunghe riflessioni e discussioni, tuttavia, gli Stati membri della convenzione hanno deciso di procedere con la nomina di diversi siti di memoria, e nel 2023, ben tre di questi sono stati iscritti nella lista del patrimonio mondiale: la Caserma Esma di Buenos Aires in Argentina, il sito del genocidio del Ruanda, e i cimiteri della prima guerra mondiale in Francia e Belgio. È evidente che queste decisioni, e le prossime che verranno, comportano dei rischi per la Convenzione del Patrimonio Mondiale, perché in molti casi le motivazioni che stanno dietro a queste nomine sono di carattere politico.
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