Arabella Cifani, Stefano Causa
Leggi i suoi articoliNella mattina di Pasqua, Maria Maddalena si recò al sepolcro di Cristo. Vide che la pesante pietra d’ingresso era stata spostata e tornò indietro ad avvisare Pietro e Giovanni: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». I due corsero al sepolcro. Pietro vi entrò e lo trovò vuoto. Pietro e Giovanni tornarono a casa senza aver ben compreso il prodigio che avevano contemplato. Maria Maddalena invece rimase al sepolcro, sola e piangente. Scorse due angeli biancovestiti all’interno che le domandarono il motivo del suo pianto. Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Poi si voltò indietro e vide un uomo in piedi che non riconobbe. Era Gesù, amato da lei sopra ogni altro uomo, che le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Maddalena, confusa, pensò che fosse un ortolano e che avesse portato via il corpo di Gesù. A quel punto l’uomo le disse: «Maria!». Maddalena si voltò lo riconobbe gli gridò in ebraico: «Rabbunì!», che significa: «Maestro!». Maddalena cercò di abbracciare il suo Signore, ma Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli» e annuncia loro la mia resurrezione. Maddalena tornò dagli apostoli e disse loro: «Ho visto il Signore!». Raccontò ciò che aveva visto e sentito.
Tradotto in latino, Gesù disse dunque a Maddalena: «Noli me tangere». Non mi toccare. Con questo titolo sono stati dipinti durante il corso dei secoli centinai di dipinti. Il tema è bello e ai pittori di tutti i tempi è sempre piaciuto. Vi è un giardino, è primavera, una bella donna piangente, un uomo misterioso che si svela con un portento straordinario: unico fra i viventi, è ritornato dalla morte. Per comprendere questo tipo di quadri una rilettura del Vangelo di Giovanni appare necessaria.
Il grande Lambert Sustris (Amsterdam, 1515 ca - Venezia, 1584 ca), un pittore olandese venuto a vivere, lavorare e a morire in Italia, dipinse una delle più poetiche scene di questo soggetto, ricca di simbologie, secondo la tradizione della sua terra, e di colore, assorbito nella laguna veneziana.
Vorrei abitare in questo quadro, dove in una mattina di primavera, con un’aria tersa, il sole che si leva appena oltre dolci colline azzurrate. Maddalena sta in ginocchio davanti a Cristo che le parla e la benedice, fingendosi ortolano. La bellissima Maddalena è pallida per l’emozione e si comprime il petto quasi per fermare le palpitazioni del suo cuore. Veste come una gran dama veneziana, con un abito di broccato oro e bianco e un manto in velluto rosso; la sua mano destra poggia sul vaso degli unguenti che aveva sparso sui piedi di Gesù nella cena in casa di Levi e che aveva segnato l’inizio della sua redenzione. Tutt’intorno è una natura fiorente, con piante già verdi che fanno da quinte e con un prato su cui poggiano i protagonisti, trapunto di fiori. Convolvoli bianchi occhieggiano su una pianta, dietro a Cristo. Lo sfondo si apre su un grande giardino all’italiana, di gusto palladiano, bellezza e la magia del dipinto. Spartito fra aiuole geometriche, fontane, statue, una pergola, un edificio classicheggiante al fondo, il giardino parla, ride, respira. Il pittore offre in questa tela una mirabile sintesi fra gusto nordico e cultura pittorica veneta, con un senso del colore e della composizione veramente unici.
Il quadro vuole ricordarci che Cristo si rivelò appena risorto a una donna e non agli apostoli; che questa donna è sospesa fra il desiderio e la paura per ciò che sta vedendo: una verità incommensurabile e incomprensibile se non vissuta con gli occhi della fede. Con emozione infinita Maddalena ha riconosciuto il suo maestro; tenta di abbracciarlo travolta dalla felicità. Cristo, guardandola, le sussurra quel «Noli me tangere» che spartirà i secoli e cambierà la storia.
Lambert Sustris apre i nostri occhi su un mondo nuovo, più bello e armonioso, frequentato dalla poesia e dallo spirito. Il giardino da lui dipinto è una metafora del Cielo. Possiamo entrarci anche noi, basta volerlo. [Arabella Cifani]
Il più bel quadro con la Resurrezione?
Arriva come una di quelle domande da dopocena (moderatamente) alcolico, quando si allentano le briglie e si va dolcemente alla deriva tra allusioni e calembours mentre a tavola ci si ruba la scena tra sciccherie e scioccherie. Un gioco non peggiore di altri per superare la mestizia di stagioni di epidemie e guerre. Ma è la domenica di Pasqua ed è facile che ciascuno corra al metro pacificante e confortante del Piero di Borgo.
La «Resurrezione» non teme confronti (immaginate se, nel film di Zurlini, ce l’avesse raccontata Alain Delon anziché fermarsi a Monterchi dinanzi alla Madonna del Parto). Qualcuno, per darsi un tono, tirerà fuori la Resurrezione napoletana del Caravaggio, che è perduta da due secoli (ma la descrivono, un poco in apprensione per simili stravaganze, due uomini del mestiere come lo Scaramuccia e Falcone che vi notarono il Cristo: «non come d’ordinario far si suole, agile, e trionfante per l’aria…ma con un Piede dentro, e l’altro fuori dal Sepolcro posando in terra»). Ma intemperanze del Caravaggio a parte, il catalogo è più che infinito e situarsi dall’osservatorio della Resurrezione, significa girare intorno ai propri gusti e idiosincrasie.
E allora: nonostante o dopo Piero, la più bella Resurrezione mai dipinta?
È conservata al museo del Detroit Istitute of Arts nel Michigan ed è lunga poco più di trenta centimetri; praticamente lo schermo su cui sto battendo queste inezie. La incontrai a New York, in una mostra sul Rinascimento a Siena; in mancanza dell’originale, ne comprai la calamita e, da allora, le volte che apro il frigorifero, mi riconcilio col Maestro dell’Osservanza, attivo nel secondo quarto del ’400, genio degli anonimi se mai ce ne sia stato uno.
Lui la immaginò così. Due soldati spalmati a terra, in rosso e rosa; più un terzo inginocchiato, in verde e arancio e un quarto, addormentato, che non sa cosa perde: nientemeno che Cristo, bandiera alla mano, in volo in una mandorla razzante come un eroe della Marvel. A centro pagina, come una pietra rara, il sepolcro.
Tutto un poco in una scentratura che non dipende dalla scarsa perizia di questo satellite del Sassetta ma, al contrario, per consentire, a sinistra, la piena cantabilità di uno dei tramonti più stupefacenti mai dipinti. Uno strappo di cielo arancio su un profilo collinare affondato nel buio vira i toni delle strade celebrate del Mulino Bianco in una dimensione da impero delle luci di Magritte. L’aria del Belpaese non è mai stata così limpida come in questo frammento di predella (insieme ad altri tre, di cui uno, con la «Crocifissione», ahimè nel Museo di Kiev) custodito nella città dei motori e della musica Motown. L’Italia non sarà mai più così definitiva e misteriosa, sublime e indifferente, come nella pittura del ’400. Buona Pasqua e pace a tutti: anche a quelli, e ce ne saranno sempre, di cattiva volontà. [Stefano Causa]
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