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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliNato nel 1982 a Oxford ma residente a Copenaghen, Ed Atkins è per la prima volta protagonista di una retrospettiva nel suo Paese natale. Gliela dedica dal 2 aprile al 25 agosto la Tate Britain di Londra, presentando non soltanto la nota produzione di video e animazioni generati al computer, ma anche scritti, dipinti, ricami e disegni che tratteggiano gli ultimi 15 anni di una produzione imperniata sul divario sempre più ridotto tra mondo digitale e sentimenti umani, finzione e realtà. Atkins utilizza infatti le sue esperienze, i suoi sentimenti e il suo stesso corpo come strumenti di mediazione tra digitale e corporeo, tecnologia e senso di intimità, amore, perdita e lutto. Centrale nel lavoro di Atkins è infatti il tema della morte ma anche della malattia, vista come processo di decadenza fisica che ha spesso corrisposto, nel caso di artisti e letterati, a un periodo di eccezionale slancio creativo.

Ed Atkins, «Untitled», 2018. © Ed Atkins Courtesy of the Artist, Cabinet Gallery, London, dépendance, Brussels, Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin, e Gladstone Gallery

Ed Atkins, «Refuse.exe», 2019. Tate. © Ed Atkins. Courtesy of the Artist, Cabinet Gallery, London, dépendance, Brussels, Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin, e Gladstone Gallery
Curata in stretta collaborazione con l’artista da Polly Staple e Nathan Ladd coadiuvati da Hannah Marsh, la mostra si struttura sull’antitesi ripetizione/differenza, che consente ad Atkins di indurre nel visitatore, attraverso la ripetizione o l’alterazione, uno straniamento continuo, affine a quella «sperimentazione che rende la vita reale un’esperienza caotica e non lineare». La mostra inizia con due tra i suoi primi lavori video, «Death Mask II» e «Cur» (2010), descritti dallo stesso artista come «montaggi di intossicazione, rifiuto e abbandono» ed esemplari anche della produzione successiva. «Questi primi lavori introducono la volontà di mettere in primo piano il medium e le tecnologie utilizzate, affermano i curatori. Che si tratti di vistosi bagliori, autofocus o spezzoni audio apparentemente involontari, l’artista vuole ricordarci che stiamo guardando qualcosa di profondamente artificiale, costruito per sedurre e insieme respingere. In forma sia analogica sia digitale, le opere di Atkins sono un intreccio di realtà, artificio e psicopatologia della vita quotidiana».
Intervistato da Hans-Ulrich Obrist, Atkins aveva del resto dichiarato: «Per quanto riguarda la mia pratica artistica, ci sono stati dei primi tentativi con il disegno e la pittura, che ho esplorato compulsivamente, e poi l’arte contemporanea e l’immagine in movimento, emersi guardando molto cinema, soprattutto americano. Il cinema mainstream è stato il mio primo amore insieme alla musica, temperati dalla letteratura e dai videogiochi... L’arte era semplicemente un luogo in cui potevo mettere insieme tutte queste cose». Molti dei video esposti sono performance dell’artista registrate attraverso tecnologie di performance capture, come accade in «The Worm» (2021) o «Pianowork 2» (2024), così come molto presente è il tema dell’autoritratto, problematico terreno di continua messa in discussione fisica e psicologica. Al centro della mostra, una serie di disegni su Post-it realizzati per i suoi figli vengono descritti da Atkins come «immagini in miniatura di invenzione apparentemente infinita» e «minuscoli, laboriosi, imperscrutabili tentativi di comunicare sentimenti».

Ed Atkins, «Pianowork 2», 2023. © Ed Atkins. Courtesy of the Artist, Cabinet Gallery, London, dépendance, Brussels, Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin, e Gladstone Gallery