Arabella Cifani
Leggi i suoi articoliPalais Galliera, Parigi, esterno giorno. Attorno al cortile d’onore, delimitato da un peristilio ionico semicircolare e prolungato da due ali porticate, sono sistemate due file di sedie che ospitano un pubblico sceltissimo in attesa di assistere a una delle più importanti sfilate della stagione. Un’altra fila di ospiti, ancora più selezionata, è seduta lungo il portico coperto. Gli occhi di tutti sono rivolti verso la grande arcata incorniciata da colonne ad anello, dove tra poco, dal portale a vetri, usciranno le modelle. Brusio. La musica comincia ad alzarsi dagli altoparlanti ma non sembra da sfilata. Un pizzicato di arpa volteggia nell’aria, seguito da un violino scordato che leva i suoi acuti inquietanti. Appare una figura avvolta in un ampio mantello di seta color di foglia secca. Cammina lenta. Il volto è in ombra e il suo passo evoca un rumore di ossa aride. Fra gli spettatori si diffonde un’inquietudine che tra poco sarà terrore: è infatti la Morte, entrata a fare il suo fatale defilè in un crescendo musicale di archi che esplodono. Sopra all’arcata si srotola un grande cartiglio ove si legge: «Sono io la morte e porto corona, / io son di tutti voi signora e padrona / e così sono crudele, / così forte sono e dura / che non mi fermeranno le tue mura».
Questa è immaginazione, ma se volete provare a casa a evocare la scena, ascoltate il «Ballo in fa diesis minore» di Branduardi, che forse vi susciterà ansia. In realtà, è molto difficile che agli organizzatori delle sfilate di alta moda di Parigi e di Milano possa passare per la mente il concetto che le vesti che creano siano strettamente collegate alla morte. E invece lo sono, eccome.
Un singolare libro La Morte e la Moda. Il volto oscuro della bellezza nell’arte e nell’abbigliamento, dall’Eden ai nostri giorni, scritto con apertura mentale e curiosità non comuni, analizza proprio il fenomeno del rapporto fra la morte e la moda (298 pp. ill., Ancora, Milano, 2024, € 29). Ne è autrice Sara Paci Piccolo, docente al Polimoda di Firenze, collaboratrice di istituzioni come il Fashion Institute of Technology e la New York University. La studiosa da tempo indaga il rapporto tra corpo, moda e società con un approccio multidisciplinare e ne trae, come in questo caso, musiche nuove.

2019, Barbie, collezione in stile messicano per il Día de los muertos

2024, «Gothic Lolita», Lolitainside.com
Dalle danze macabre medievali alle moderne raffigurazioni horror nei film, nei comics e nella moda, l’autrice ricostruisce l’evolvere della concezione della morte nel suo legame profondo con il corpo, in tensione dinamica tra sostanza e apparenza. In questo processo anche il look ha giocato un ruolo fondamentale, seguendo una riflessione presente già nella Bibbia e nei Padri della Chiesa, dove l’abito è simbolo di ambiguità e illusione, ma anche specchio della nostra natura mortale. Già nel 1824 Giacomo Leopardi ne Il dialogo della Moda e della Morte indagava con ironia il tema. La moda, scrive Leopardi, è «figlia della caducità»: ciò che innanzitutto la caratterizza, infatti, è la dimensione del transitorio. In questo senso, il fascino della moda è quello di una realtà sempre nuova che si risolve nella fugacità dell’effimero e del contingente, e che esclude ogni idea di assoluto e di eternità. Nella moda a trionfare non è la fissità dell’immutabile, ma la mobilità del divenire, di ciò che continuamente e imprevedibilmente muta e si trasforma, consumandosi rapidamente. Parlare di moda è quindi parlare di come un concetto estetico si sia modificato nel corso del tempo e di come si siano formati «l’ideale fisico, l’aspetto esteriore, la nozione di bellezza e di bruttezza e, soprattutto, l’apparenza di quello che modernamente e familiarmente chiamiamo look».
Nelle pagine del libro scorrono i secoli e i riferimenti, dalla letteratura alla poesia, fino al cinema, alle canzoni e ai videogame. La nascita dell’abito come fatto decorativo ha un capitolo apposito. Si parte da Adamo ed Eva, che dopo il peccato si riconobbero nudi e ai quali Dio, impietosito, fece vesti di pelle: Dio è stato dunque il primo sarto. Ma la Morte è spogliata di tutto e il Medioevo, con il suo profluvio di temi macabri, la raffigurò come tale. Intanto la Chiesa, codificando gli abbigliamenti sacri, rendeva evidente come l’abito fosse un’espressione essenziale della vita umana, sia nelle forme quotidiane sia in quelle spirituali. È anche il tempo, fra il XII e il XV secolo, in cui nasce il concetto moderno di moda. Al tempo della Chiesa si sostituisce progressivamente quello del mercante, che si veste lussuosamente, ma che ha anch’egli sempre la morte accanto. L’abito diventa uno status per papi, principi, ricchi e borghesi: un concetto che arriva fino ai nostri giorni e ancora sussiste con il suo carico di giudizi e pregiudizi legati alle apparenze.

«Dead Women are Sexy», campagna pubblicitaria di Gucci, 2010
Con l’avanzare del Cinquecento si diffondono nel nord Europa (e di riflesso anche in Italia) dipinti di danze macabre con scheletri che piroettano con i vivi, mentre le stampe contribuiscono a una loro capillare conoscenza. Anche i temi della decomposizione e del disfacimento del corpo, e dei suoi involucri di vesti, riscuotono grande successo: fra gli esempi migliori, ci sono miniature come quella raffigurante il monumento funebre di Alice de la Pole, che la presenta bella e delicata giacente, appena morta, su un sarcofago e poi, sotto, decomposta e divorata da vermi e scarafaggi. Indicativa la miniatura dello «Speculum Vanitatis» tratta da un Libro d’Ore del 1480, in cui una dama scheletrita, ma ancora ornata da bei capelli biondi e vestita con grande raffinatezza, si specchia inutilmente a contemplare il suo teschio. Il rapporto tra la moda e la morte presenta nei secoli singolarità notevoli. Nel 2010 Gucci ne ricavò una sofisticata pubblicità con tre donne morte sul cofano di una macchina, tutte abbigliate Gucci, ovviamente. Nel 2010 Carla Sozzani ha dedicato una cover e un lungo servizio di «Vogue» alla Plastic Surgery: tra schizzi di sangue e flebo, fanatiche del genere chirurgico si fanno torturare e rischiano la morte rivestite di alta moda.
Fino a un passato non troppo lontano i soggetti macabri nell’arte, nel discorso religioso e nella realtà quotidiana, erano esperienza comune, dando profondità e sostanza alla vita di ogni giorno con il loro «memento mori». Lo testimonia bene il secolo del Barocco, quando si diffondono pendenti da collana a forma di bara, con tanto di cadaverino all’interno, o i gioielli caratterizzati da capelli umani di morti e teschi come ciondoli: un genere che ogni tanto ritorna, se Dior l’ha riproposto nel 2019 e Damien Hirst esibisce ancor oggi i suoi teschi tempestati di diamanti. Cover di dischi con temi lugubri si alternano a t-shirt macabre e alla moda punk e dark, mentre i teschi si trovano anche stampati sulle cravatte giapponesi. E poi ci sono scheletri vestiti di tutto punto intenti nei più svariati lavori, come quel settecentesco sarto del Museo Diocesano di Bergamo intento a prendere le misure per l’ultimo abito. Napoli, dei morti rivestiti e conciati, ne fece un mestiere: c’era lo «schiattamuorto», che aveva il compito di accelerare la decomposizione e lo svuotamento del cadavere prima di recuperare le ossa, pulirle e metterle in una cassettina infiocchettata e decorata come un pacco di caramelle. Anche il lutto divenne un fatto di moda e il nero un colore seducente, come nell’abito da ballo di Anna Karenina o, più modernamente tra tocchi fetish, gothic ed erotici (che c’è di più seducente di una giovane vedova, o di un giovane vedovo abbrunati e tanto tristi?).
In questo libro Sara Paci Piccolo ci insegna che il rapporto fra moda e morte è molto più complesso di quanto si potesse immaginare e che, più correttamente, potrebbe essere definito come quello fra apparenza e sostanza. La moda può essere ispirata dalla morte generando riflessioni molto profonde, «riportando la serietà e lo scandalo nelle nostre vite anestetizzate».
La Morte e la Moda. Il volto oscuro della bellezza nell’arte e nell’abbigliamento, dall’Eden ai nostri giorni
di Sara Paci Piccolo, 298 pp. ill., Ancora, Milano 2024, € 29

La copertina del volume
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