«La Chimera» (1985) di Mario Schifano, collezione privata

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«La Chimera» (1985) di Mario Schifano, collezione privata

Etruschi anticlassici, modelli per le avanguardie del Novecento

Il Mart di Rovereto propone un suggestivo raffronto tra opere antiche e dipinti, sculture e ceramiche da Campigli a Picasso, da Schifano a Giacometti, da Arturo Martini a Gio Ponti

Seduto ai tavoli del Café du Dome, Massimo Campigli, tornato a Parigi nel 1951, riempì pagine di taccuini sulle sue esperienze che dattiloscrisse poi su fogli leggeri e trasparenti. Il pittore stesso, o qualcun altro, li legò successivamente con un cordoncino e finirono, chissà come, nel fondo di una cassa nello studio romano, dove li ritrovò il figlio Nicola nell’ottobre del 1989. Qualche anno dopo, quei fogli vennero pubblicati da Allemandi in un libro dal titolo Nuovi scrupoli con il riferimento esplicito a una pubblicazione precedente Scrupoli: un volumetto stampato nel 1955 per i tipi della Galleria del Cavallino a Venezia con cinque suoi disegni. Prima di visitare la mostra «Etruschi del Novecento», allestita nel Mart di Rovereto dal 7 dicembre al 16 marzo 2025, e dal 2 aprile al 3 agosto 2025 nella Fondazione Rovati di Milano, consiglio di leggere (o rileggere) quel libro. Vi è descritta la fascinazione di Campigli e indirettamente quella di altri pittori, scultori e scrittori verso il mondo etrusco che prese avvio negli anni Venti del ’900. 

Il fattore scatenante fu costituito da una scoperta sensazionale avvenuta a Veio nel 1916: una straordinaria statua in terracotta raffigurante Apollo. Campigli incontrò gli Etruschi durante una visita al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia nel 1928: «Soffrivo di una vaga nostalgia artistica non dissimile dal bisogno di un nuovo amore…a Roma non posso nemmeno dire di aver visto tale o tal altra opera etrusca. È lo spirito di quel mondo che mi avvolse». Lo «spirito di quel mondo» arrivò a influenzare diversi altri artisti in quegli anni e l’arte etrusca venne interpretata come anticlassica: le avanguardie la ritennero un modello per misurarsi con un linguaggio espressivo differente da quello proposto dalle Accademie

Lo storico dell’arte antica Ranuccio Bianchi Bandinelli ha ricordato nel suo saggio Palinodia, pubblicato inizialmente nella rivista «La Critica d’Arte» (1942) e riproposto in Storicità dell’arte classica, una grande attenzione verso l’arte etrusca nel quinquennio 1925-30, dato che gli artisti riconoscevano sé stessi in essa. 

Lungo il percorso espositivo nel raffronto tra opere antiche e del ’900, proposto dai curatori della mostra Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Giulio Paolucci e Alessandra Tiddia, quel dialogo si riannoda. Da una parte, opere antiche quali, ad esempio, la testa di Hermes dallo stesso santuario che restituì l’Apollo e attribuita al medesimo artefice e alcuni canopi rinvenuti a Chiusi e nel suo territorio; dall’altra dipinti, sculture e ceramiche realizzati da artisti quali, oltre a Campigli, Pablo Picasso, Arturo Martini, Gio Ponti, Alberto Giacometti, Mirko Basaldella, solo per fare qualche nome.

Un dialogo destinato a continuare con l’esponente maggiore della Pop art italiana, Mario Schifano, di cui viene esposta un’opera realizzata in un’occasione e in un contesto speciale. Nella notte del 16 maggio 1985 venne chiesto al pittore di dipingere un quadro dalle dimensioni rilevanti (4x10 metri), a Firenze, nella centrale piazza della Santissima Annunziata, in coincidenza con l’inaugurazione delle mostre «Civiltà degli Etruschi» e «Fortuna degli Etruschi». Il suo lavoro, portato avanti di fronte a qualche migliaio di persone, era commentato in diretta, come in una telecronaca sportiva, dal critico d’arte Achille Bonito Oliva. La scelta del soggetto, per volontà della committenza o dell’artista, era caduta sulla Chimera, l’eccezionale bronzo rinvenuto ad Arezzo nel 1553: uno dei simboli dell’arte etrusca. Il rapporto di Schifano con il mondo etrusco non fu episodico, vi ritornò in due ulteriori occasioni e tra l’altro da giovane, prima di affermarsi, lavorò presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia come «salariato temporaneo con mansione di restauratore» e poi quale «operaio salariato permanente con mansione di lucidatore di disegni». In un’intervista concessa al settimanale «Panorama» (19 maggio 1985) dichiarò: «Guerrieri, tombe, templi di quel popolo hanno fatto parte della mia storia privata». La sua e quella di altri artisti: Etruschi del Novecento.

«Canard pique-fleurs» (1951) di Pablo Picasso

«Leone di Monterosso (Chimera)» (1934-35) di Arturo Martini, Udine, Casa Cavazzini Museo di Arte Moderna e Contemporanea

Giuseppe M. Della Fina, 06 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

Etruschi anticlassici, modelli per le avanguardie del Novecento | Giuseppe M. Della Fina

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