Laura Giuliani
Leggi i suoi articoliNel 1966, l’anno della famosa alluvione di Firenze, l’archeologo Francesco Nicosia scopriva il maestoso Tumulo principesco di Montefortini a Comeana, non lontano da Prato, in quell’angolo d’Etruria dove vigne e uliveti s’intrecciano con la storia degli Etruschi, primi vignaioli della penisola, che scelsero la zona del crinale appenninico per i loro insediamenti e controllare il territorio. Grazie a lui l’area fu accuratamente indagata divenendo nota come l’Etruria delle «tholoi» per le sepolture a falsa cupola che richiamano le monumentali tombe del Vicino Oriente.
Non a caso il tumulo Montefortini, costituito da due tombe a camera (una più antica a tholos con la cella dal diametro di sette metri e risalente alla seconda metà del VII secolo a.C., l’altra più recente a falsa volta realizzata tra la fine del VII e l’inizio del VI a.C.), appartiene proprio a quel periodo che gli studiosi chiamano orientalizzante in virtù di traffici commerciali e scambi culturali che favorirono la diffusione di modelli artistici dal Vicino Oriente.
A questa temperie culturale è riconducibile lo straordinario complesso di avori frammentari (quasi 10mila pezzi), scoperto all’interno della tomba più antica, insieme a importanti vasi di bucchero come la coppia di incensieri traforati, una coppa in vetro turchese decorata a baccellature e altri manufatti che testimoniano l’alto livello delle produzioni artigianali etrusche.
Gli avori sono minuscole creature fantastiche e placchette appartenenti al rivestimento di pissidi, pettini e altre suppellettili, parte del prezioso corredo funebre saccheggiato ripetutamente nel tempo, incise e traforate con sfingi, grifi e leoni alati, rosette e fiori di loto, e con scene omeriche, motivi che ricorrono poi anche su manufatti in bronzo e in ceramica.
Di questi fragili frammenti è in corso un minuzioso intervento di studio e restauro che ha preso avvio alla fine degli anni Ottanta ed è stato portato avanti a più riprese. Oggi, dopo oltre trent’anni, il restauro continua grazie anche al finanziamento della Confederazione Elvetica (50mila franchi svizzeri) che si aggiunge ai fondi della Soprintendenza e del Comune di Carmignano (90mila euro).
Responsabili del progetto, che prevede anche la documentazione grafica e fotografica e la pubblicazione dei risultati con l’organizzazione di una mostra entro l’autunno 2023, è l’etruscologa Maria Chiara Bettini, con Massimo Tarantini della Soprintendenza Archeologia di Firenze, Pistoia e Prato. Bettini è direttrice del Parco archeologico di Carmignano dove si trova il tumulo di Montefortini (visitabile tutti i giorni e con ingresso gratuito) e del vicino Museo Archeologico di Artimino «Francesco Nicosia» (aperto sabato e domenica, gli altri giorni su prenotazione) che ne conserva i materiali.
«Nel 2000 in occasione della mostra “Principi etruschi” di Bologna sono stata coinvolta da Nicosia per lo studio del corredo di Montefortini e in particolare di quello degli avori. Da allora ho cominciato ad affiancare come archeologa Pier Giorgio Tolone nella prima selezione tipologica dei circa 10mila frammenti decorati ancora da sottoporre al restauro, e poi Franco Cecchi, entrambi della Soprintendenza per i Beni archeologici della Toscana. Tutto quello che proviene da Montefortini ed è già esposto ad Artimino è stato restaurato da loro, cui si devono anche il calco e la ricostruzione in museo della Tomba del Guerriero di Prato Rosello».
Quest’ultima è una delle tante tombe della necropoli di Artimino (VIII-VII secolo a.C.) i cui corredi hanno trovato posto al piano inferiore del suggestivo museo insieme ai corredi di altre necropoli: unguentari di ceramica, buccheri di varie forme (notevole l’incensiere da Prato Rosello con iscrizione in etrusco), urne cinerarie a cassetta, vasi in bronzo (situla di Grumaggio) e in impasto, armi e le bellissime pietre fiesolane poste sulla cima del tumulo in età arcaica accolgono il visitatore.
Al piano primo invece, il popolamento del territorio con gli abitati etruschi di Artimino e Pietramarina. Il Museo è stato aperto nel 1983 nei sotterranei della villa medicea «La Ferdinanda» (dove probabilmente sorgeva l’acropoli di Artimino etrusca), ma dal 2011 ha trovato una nuova sede nelle ex tinaie della fattoria di Artimino, edificio di proprietà del Comune, proprio all’ingresso del borgo medievale. Quest’ultimo insieme alla non lontana Pieve di San Leonardo, capolavoro del Romanico, merita anch’esso una visita, ma questo è un altro capitolo.
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