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Luca Zuccala
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«Io sono un grande fatalista, ritengo che tutto sia già scritto. Ognuno ha il suo destino. Io, da ragazzo, volevo fare il cavaliere di concorso ippico, e non ero assolutamente interessato all’arte, pur vivendoci in casa, poi, per una serie di vicissitudini ho cominciato a frequentare il mercato dell’arte, me ne sono innamorato, e oggi l’arte è la mia ragione di vita». Fabrizio Moretti (Prato, 1976) è titolare di una delle maggiori gallerie d’antiquariato italiane, sulle orme del padre Alfredo, scomparso nel 2018. Fondata a Firenze nel 1999, oggi la Moretti Gallery ha sedi a Londra, Montecarlo e Parigi, e partecipa alle maggiori fiere, tra cui Tefaf, Frieze Masters e Biennale di Palazzo Corsini a Firenze. Nel 2004 il ministro francese della Cultura, Renaud Donnedieu Vabres, lo ha insignito del titolo di Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres. Nel 2009 ha costituito a Prato la Fondazione Fabrizio Moretti, che si dedica alla riabilitazione attraverso l’ippoterapia e tre parole chiave come «inclusione, benessere e accettazione». In questa intervista ci racconta le sue attività e la sua visione di un mercato dell’arte in continua trasformazione.
La sua è una storia di successo. Ma il successo non avviene mai in linea retta. Quali sono state le tappe più significative del suo percorso?
Direi che la mia è una storia di «fortuna». Non mi sento un uomo di successo perché ritengo di avere ancora molto da fare e da imparare. Sono solo all’inizio! Mi sento sempre in debito nei confronti della vita e mai pienamente soddisfatto. La mia più grande fortuna è di avere avuto due genitori straordinari, che mi hanno insegnato i valori della vita e la semplicità. Mio padre, uomo eccezionale, perché, pur provenendo da una famiglia contadina, senza istruzione, è arrivato a essere uno dei mercanti più famosi e capaci d’Italia, mi ha insegnato come gira il mondo. Un vero esempio. Io, rispetto a lui, sono partito molto avvantaggiato: ho ricevuto un’istruzione e ho avuto la fortuna di entrare già in un sistema, che poi ho sviluppato. Mio padre è partito da zero, e quando parti da zero le cose sono più difficili. Lui è stato un uomo di successo. Un evento che, sicuramente, ha segnato la mia vita professionale è stato quando nel 1998 con mio padre sono andato a New York presso la galleria Wildenstein. Quella galleria così speciale e inarrivabile, così lontana dal mondo da cui provenivo, mi ha fatto capire il vero mercato internazionale. In quel momento mi ha così ispirato da spingermi a dire a mio padre: se dovrò fare il mercante d’arte, dovrò cercare di farlo a questo livello. Tutto nacque da lì.
In un certo senso, oggi è lei stesso un punto di riferimento nel suo ambito. Quali sono state le sue altre fonti di ispirazione nell’arco della sua carriera?
Non mi sento un punto di riferimento, ma un esempio da non imitare. Io sono molto curioso e istintivo, e oggi le mie attività imprenditoriali non sono più legate solo all’arte. Credo che quelli veramente bravi, nella vita, siano coloro che dedicano tutta l’esistenza in maniera quasi autistica alla loro professione. Solo così si raggiunge l’eccellenza. Non ho mai avuto una sola figura che mi ha ispirato totalmente, ho sempre cercato di carpire dai mercanti più bravi e grandi di me i loro pregi.
Se potesse tornare a 22 anni quando ha iniziato, che cosa direbbe al sé stesso di allora? Qualcosa che non sapeva ma che avrebbe dovuto assolutamente sapere?
Non ho rimpianti, rifarei tutto con la stessa volontà e dedizione. Certo avere l’esperienza di oggi e 22 anni sarebbe bello, ma la vita è speciale perché è piena di capitoli. La frase che direi a quel 22enne: studia di più. Il sapere è potere!
Il mondo cambia in fretta; si può dire che il ritmo del cambiamento stia accelerando ogni anno che passa. Quale futuro vede per la sua attività?
Il nostro è un mondo di nicchia. Sono pochi i player, ma di qualità. Mi auguro che i giovani studino di più così da potersi innamorare del magico mondo dell’arte antica e, magari, diventare collezionisti.
Che cosa pensa cambierà radicalmente e che cosa rimarrà probabilmente uguale nei prossimi decenni?
Bella domanda... Penso che ci saranno meno gallerie e che il mercato sarà sempre più in mano alle case d’asta. Come, paradossalmente, era all’inizio del Novecento.

Nel 2009 Fabrizio Moretti ha costituito a Prato la Fondazione Fabrizio Moretti, che si dedica alla riabilitazione attraverso l’ippoterapia
Nel gennaio 2015 Sotheby’s ha ospitato un’asta eccezionale dedicata alla Fondazione Fabrizio Moretti. Come è nata l’idea di unire il mondo dell’arte con un’iniziativa benefica di questo tipo?
Tutto nacque per gioco da un’idea dell’amico Edoardo Roberti, che allora lavorava per Sotheby’s. Mi propose di fare un’asta per svuotare il magazzino, ma poi George Wachter ci consigliò di alzare la qualità e fare un’asta curata da me, e così fu. Operazione perfetta. A quei tempi stavo costruendo la Fondazione per l’ippoterapia e decisi di destinare parte dei proventi per finanziare i lavori. Bellissima esperienza.
La Fondazione che porta il suo nome è dedicata alla riabilitazione attraverso l’ippoterapia. Che cosa l’ha spinta a scegliere proprio questa causa?
Io, dopo i miei genitori, devo tutto al mondo del cavallo, che ho conosciuto a 7 anni perché i medici consigliarono a mia madre di farmi fare equitazione per terapia. Da lì, colpo di fulmine, questo sport mi ha stregato, e, nonostante il mio problema, sono riuscito ad arrivare a fare gare a livello nazionale e internazionale. La fiducia che ho acquisito tramite il cavallo è stata la chiave di volta per tutto quello che ho intrapreso dopo.
In che modo la struttura di Prato è un punto di riferimento per l’ippoterapia? Cosa la rende davvero speciale rispetto ad altre realtà simili?
Siamo una delle poche strutture totalmente dedite all’ippoterapia. Il centro, voluto fortemente da me, non solo aiuta i disabili, ma anche le loro famiglie. Regalare a una madre o un padre qualche ora di tranquillità in un bel posto all’aperto non ha prezzo. Io voglio regalare serenità e speranza, questo è il mio ideale. I miracoli possono accadere, io ci credo.
All’interno del centro sono esposte opere realizzate dai ragazzi di Monaco Disease Power. Qual è il ruolo dell’arte nella terapia?
Monaco Disease Power è un’associazione monegasca che seguo da tempo. Questi ragazzi sono eccezionali. L’arte è la prova che esiste qualcosa di sovrannaturale: un’energia che si trasforma in materia. Queste loro opere ne sono la prova.
Molti studi dimostrano il valore dell’arte come strumento terapeutico, ma spesso resta ai margini delle pratiche riabilitative. C’è ancora troppa poca consapevolezza?
Il problema del sistema che segue le persone con disabilità è che, purtroppo, mancano ancora molti fondi e non ci sono le strutture adeguate. Mi auguro che ci possano essere nuovi benefattori che riescano a creare delle fondazioni attive in questi settori, un po’ come abbiamo fatto noi riguardo all’ippoterapia. Non escludo un giorno di ampliarci anche all’Art Therapy come fa Monaco Disease Power.
Guardando al futuro, se la Fondazione potesse raggiungere un solo grande obiettivo nei prossimi anni, quale dovrebbe essere?
L’obiettivo più importante è portare avanti il mio progetto: far stare bene questi ragazzi e far vivere loro un momento magico attraverso il cavallo, un animale che ha una sensibilità incredibile. Io credo che possa (e lo fa davvero) migliorare la quotidianità di questi giovani ragazzi e ragazze. Sono grato ai miei cari amici e collaboratori Gabriele Caioni, Alberto Funghi e il dottor Filippo Risaliti che, ogni giorno, si adoperano con dedizione e amore alla gestione del centro. Parlando di successi, credo che questa Fondazione sia il mio unico successo personale, perché riuscire a dare la felicità a chi non l’ha è una cosa incredibile. Non vi è scoperta o vendita di un dipinto che possa eguagliare questa soddisfazione. Vi racconto una storia: l’altro giorno un ragazzo molto carino ha chiesto molte volte di me, e io ho deciso di fare una piccola videochiamata con lui. Mi ha detto una frase che mi ha commosso: «Sto bene qui e sono felice». In quelle sue parole per la prima volta mi sono sentito realizzato. Sono sicuro che il mio futuro sarà sempre più destinato al sociale e ad aiutare il prossimo. La vita, purtroppo, è ingiusta e non uguale per tutti, quindi, a parer mio, i più fortunati dovrebbero aiutare i meno fortunati per cercare di creare un equilibrio. Io, nel mio piccolo, cerco di farlo e spero, almeno in questo, di essere un modello.
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