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«Bacco» (1596-98), di Caravaggio, Firenze, Galleria degli Uffizi (particolare)

Foto tratta da Wikipedia

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«Bacco» (1596-98), di Caravaggio, Firenze, Galleria degli Uffizi (particolare)

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Fu Marangoni a «scoprire» il Bacco del Caravaggio

Claudio Strinati rievoca quando il critico fiorentino rinvenne il dipinto, mezzo rotto e lercio, completamente ignorato in un deposito

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Claudio Strinati

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«Bisogna convenire che ancora oggi il Caravaggio è il pittore secentesco italiano che suscita i più gustosi problemi, se non altro quando si debba decidere della autenticità di certe opere che gli vengono attribuite. Certo, si sono fatti in questi ultimi anni dei passi notevoli nella conoscenza del nostro pittore, ma di incognite e di dubbi ce ne restano ancora molti e sarà merito di questa Mostra se varii se ne saranno potuti chiarire o dissipare dopo l’esame e il confronto diretto di tante opere sicure del Maestro». È Matteo Marangoni, fiorentino, classe 1876, che commenta in tempo reale la «Mostra della pittura italiana del Sei e Settecento» a Firenze, Palazzo Pitti, nel 1922

Tutto sommato, a distanza di centodue anni, abbastanza attuale. Ma un po’ si spiega. Marangoni, a differenza dei grandi conoscitori della sua epoca, aveva una formazione di storico dell’arte del tutto anomala. Aveva cominciato infatti come antropologo (si laureò con Paolo Mantegazza), ma senza praticare sul serio l’ardua disciplina, se non metabolizzandone il vago convincimento che onestà e raggiro siano effettivamente categorie di comportamento diverse, talvolta e non senza difficoltà nettamente inquadrabili sia a livello teoretico sia nella concreta prassi del vivere e del sapere. Poi, per molti anni, aveva fatto il musicista bohémien in giro per l’Europa. Alla pittura si accosta un po’ più tardi di altri suoi illustri coetanei che l’antropologia non sapevano neanche cosa fosse. E si distinse per un approccio molto concreto e diretto, convinto che il riconoscimento degli autori poggi meglio su un terreno il più possibile sgombro da pregiudizi e preconcetti.

Fu lui ad accorgersi del «Bacco» degli Uffizi buttato mezzo rotto e lercio al suo tempo in un deposito e ignorato completamente. E ci andò con i piedi di piombo, prima timoroso fosse una copia antica da un originale del Caravaggio e poi, pare rassicurato da Longhi, come originale. Da Longhi, pensate un po’! «Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!/ Eran rivali, eran di fé diversi,/e si sentian degli aspri colpi iniqui/per tutta la persona anco dolersi;/e pur per selve oscure e calli obliqui/ insieme van senza sospetto aversi». Ma non saprei se l’Ariosto veramente ci credesse a una cosa del genere, quel povero infelice!

Claudio Strinati, 21 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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