Sarvy Geranpayeh
Leggi i suoi articoliLa proposta di legge approvata dal Governo di Benjamin Netanyahu, che amplia la giurisdizione dell’Autorità israeliana per le antichità ai siti archeologici della Cisgiordania, secondo gli esperti viola il diritto internazionale e potrebbe portare a sanzioni contro Israele. La Cisgiordania ospita più di 6mila siti storici, a testimoniare una ricca storia che abbraccia migliaia di anni e una moltitudine di civiltà.
La proposta di emendamento alla legge sull’Autorità israeliana per le antichità è stata approvata lo scorso luglio dal Comitato legislativo ministeriale e questo mese dovrebbe essere esaminata dalla Knesset (Parlamento). Attualmente la responsabilità per il patrimonio e gli scavi nella Cisgiordania occupata spetta all’«Unità ufficiale per l’archeologia» dell’Amministrazione civile israeliana, che supervisiona la regione. Se approvata, la legge trasferirà il controllo direttamente alle autorità centrali per le antichità di Israele. Alon Arad, archeologo e direttore generale di Emek Shaveh, ong israeliana che si occupa di prevenire la politicizzazione dell’archeologia nel contesto del conflitto israelo-palestinese, afferma che applicare la legge e l’Autorità israeliana al territorio della Cisgiordania equivale all’annessione e potrebbe comportare sanzioni e isolamento per la comunità archeologica israeliana.
Anche l’Associazione archeologica israeliana (Ilaa), fondata nel 2018, ha espresso il suo dissenso alla proposta di legge «poiché non intende far progredire l’archeologia, ma promuovere la politica e, così facendo, viola l’attuale legge israeliana sulle antichità e il diritto internazionale relativo alle attività archeologiche in Cisgiordania». Il comitato dell’Ilaa avverte che se il disegno di legge verrà approvato «si tradurrà in un danno incalcolabile per l’archeologia israeliana», sia all’interno del Paese sia a livello internazionale. Dall’inizio della guerra a Gaza, a ottobre 2023, la situazione nella Cisgiordania occupata è rapidamente degenerata, aumentando i timori che il conflitto possa riversarsi sul territorio. Israele ha intensificato l’espansione degli insediamenti; a luglio il Governo ha annunciato la più grande confisca di terre da trent’anni a questa parte, senza contare lo sfollamento forzato e l’uccisione di numerosi palestinesi e i ripetuti attacchi aerei su larga scala. L’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr) ha condannato la «risposta sempre più militare di Israele nella Cisgiordania occupata, in un modo che viola il diritto internazionale».
Storico, ma non vincolante, il parere consultivo emesso il 19 luglio dalla Corte internazionale di giustizia (Cig), che ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati e ha chiesto di porvi fine e di evacuare tutti gli insediamenti esistenti. Pur non menzionando esplicitamente l’archeologia, la Cig ha affermato che Israele ha l’obbligo di dare un risarcimento completo, compresa la restituzione di «tutte le proprietà e i beni culturali sottratti ai palestinesi e alle loro istituzioni». Il messaggio della Cig, afferma Raphael Greenberg, professore di Archeologia all’Università di Tel Aviv, è che «non si possono più raccogliere i benefici dell’occupazione e sostenere di non avere alcuna complicità nell’occupazione». Greenberg esorta gli archeologi israeliani a distinguere il lavoro legittimo all’interno di Israele da qualsiasi attività che potrebbe essere considerata illegittima esponendoli al rischio di boicottaggio dei finanziamenti e delle pubblicazioni: «Gli archeologi israeliani hanno perso di vista la differenza tra ciò che è legittimo a livello internazionale e ciò che non lo è», afferma, sottolineando che anche il capo del Consiglio archeologico di Israele, il principale organo consultivo del direttore dell’Autorità israeliana per le antichità, si è opposto alla legge.
Secondo Arad Israele ha usato l’archeologia per espandere gli insediamenti in Cisgiordania. Dopo che un’area è dichiarata storica, viene messa sotto protezione, portando allo sfratto dei residenti o a restrizioni sullo sviluppo del territorio. Greenberg ribadisce che in Cisgiordania tutti vivono in un sito archeologico: «Se si volesse usare l’archeologia per impedire lo sviluppo locale, spiega, questo sarebbe un buon modo per farlo». La motivazione del progetto di legge afferma che queste aree sono «ricche di storia ebraica» e che qualsiasi ritrovamento non ha «alcun legame storico o di altro tipo con l’Autorità palestinese», un’affermazione respinta da esperti sia israeliani che palestinesi. «Il fatto che un sito sia ebraico o meno è irrilevante: ogni sito fa parte del nostro patrimonio culturale e noi lo preserveremo tutto», afferma Jehad Yasin, direttore generale degli scavi e dei musei presso il Ministero del Turismo palestinese che aggiunge: «Dobbiamo separare la cultura dalla politica e dalla religione e affrontare la questione in modo scientifico».
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