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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliLa mostra «Um galo sozinho não tece uma manhã» («Un gallo da solo non fa una mattina») alla galleria Mendes Wood DM di San Paolo (dal 1° aprile fino al 16 agosto) segna l’arrivo dell’artista Guglielmo Castelli in Brasile. Pur mantenendo il linguaggio pittorico che lo contraddistingue, il torinese tenta di espandere il suo raggio d’azione in una dimensione spaziale più ampia. La piattaforma rialzata che altera la percezione del visitatore non è solo un escamotage espositivo, ma un elemento che impone una nuova postura rispetto all’opera, amplificando il senso di instabilità che caratterizza le sue composizioni. Questo esperimento immersivo enfatizza la relazione tra pittura e spazio architettonico, struttura portante della mostra, così come la tensione tra forma e soggetto, tra tradizione e sovversione. Il particolare approccio alla figurazione ha portato Castelli ad essere accostato al movimento del Surrealismo, un’etichetta che, per quanto in parte giustificata dalla frammentazione dei corpi e dalle atmosfere oniriche che caratterizzano la sua arte, appare riduttiva. La sua ricerca sembra piuttosto innestarsi in una riflessione sulla pittura come linguaggio intrinsecamente politico, non per l’esplicito contenuto dei soggetti rappresentati, ma per la maniera in cui la forma stessa viene utilizzata per ridefinire e mettere in discussione i codici culturali ereditati. Interessante è l’utilizzo di oggetti trovati, come i tamburelli antichi su cui l’artista dipinge scene in miniatura. Qui emerge un’ibridazione tra la cultura popolare e la consuetudine pittorica, quella colta, una dialettica che attraversa tutta la sua opera e che diventa particolarmente acuta in questa mostra brasiliana. Il confronto con il modernismo di Alfredo Volpi (la tela «Moleque» (2024) rende omaggio all’artista italo-brasiliano emigrato da bambino da Lucca a San Paolo nel 1898) non è una semplice citazione, ma una riflessione sulle dinamiche di assimilazione e riscrittura della tradizione. Poi c’è l’impegno dell’artista nel confrontarsi con la questione colonialista. Il quadro «Pan de Queijo» («Pane al formaggio» ma c’è un errore, voluto; la giusta forma è «Pão de queijo») pone interrogativi interessanti sullo sguardo europeo nel contesto postcoloniale. La tensione tra il desiderio di dialogo e il peso della propria eredità culturale resta un nodo centrale nella mostra, non sempre traducibile in un superamento efficace delle dicotomie storiche. «Um galo sozinho não tece uma manhã» offre una panoramica complessa e stratificata del lavoro di Castelli, che si muove tra intuizioni brillanti e segna un momento di transizione, un’occasione per testare nuove soluzioni formali e concettuali.

Guglielmo Castelli, «Media-dia», 2024. Courtesy Mendes Wood DM