«De gli Allievi della sua Scuola è impossibile il metterne assieme un registro, anche mediocre, perché talora fu che ne contassimo fino a dugento di ben cogniti, fra quali huomini insigni, e Maestri grandi»: così scriveva nella sua biografia di Guido Reni Carlo Cesare Malvasia, erudito e storico dell’arte italiano della seconda metà del Seicento, che celebrò il «divino Guido» come il «promotore della nuova maniera moderna». Il testo fa da fonte e filo rosso della mostra «Nella bottega di Guido Reni» che il Musée des Beaux-Arts presenta fino al 30 marzo 2025.
La mostra è l’occasione per il museo di sfoggiare il suo capolavoro, un «Davide con la testa di Golia» a lungo considerato una copia e attribuito alla mano del maestro nel 2018, dopo il restauro realizzato da Cinzia Pasquali, già presentato nelle monografiche di Francoforte e Madrid del 2022-23 e ora esposto accanto alle versioni di Vienna, Urbino e Dresda. Con prestiti da musei internazionali, come il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Gemäldegalerie di Dresda e le Gallerie degli Uffizi di Firenze, oltre che da musei francesi, come il Louvre di Parigi, il museo di Orléans analizza l’organizzazione della bottega di Guido Reni (1585-1642), una delle più prolifiche e apprezzate del suo tempo, attiva tra Bologna e Roma, che funzionava non solo come spazio creativo, ma anche come centro di produzione e diffusione della sua arte. Tra gli allievi, alcuni divennero a loro volta noti, come Giovanni Andrea Sirani e Francesco Gessi.
Bolognese, Guido Reni, che si era formato nella bottega di Denijs Calvaert, risentendo poi delle influenze di maestri come i Carracci e del classicismo di Raffaello, fu uno dei massimi esponenti della pittura barocca italiana. La mostra evidenzia come, insieme ai suoi allievi, sia riuscito a mantenere l’equilibrio tra produzione artistica su larga scala e qualità esecutiva. La pratica della collaborazione e la divisione strutturata dei ruoli erano al centro di un lavoro molto ben rodato, necessario per soddisfare le numerose commesse. Ai suoi allievi Reni insegnava le tecniche della riproduzione, del chiaroscuro, l’uso del colore e l’arte della composizione. Lavorando su più dipinti allo stesso tempo, si dedicava ai dettagli più delicati, come volti e mani, mentre agli allievi affidava la realizzazione di sfondi e porzioni meno centrali. Di questo lavoro collettivo sono splendidi esempi la «Giuditta e Oloferne» del Musée des Beaux-Arts di Chartres, il «San Girolamo» del Palazzo Corsini di Roma, il «Ratto di Europa» del Musée des Beaux-Arts di Tours e la «Santa Maria Maddalena» dello stesso museo di Orléans, esposto accanto alla versione del maestro dal Musée des Beaux-Arts di Quimper.
La mostra esplora il retaggio che Reni ha lasciato nell’arte italiana del Seicento e si sofferma sul carattere del maestro, che Malvasia descrisse come uomo devoto al proprio lavoro e tormentato dal suo stesso rigore, ma anche collerico e impulsivo. Lo stesso Malvasia racconta che Guido Reni, che fu uno degli artisti più remunerati del suo tempo, sviluppò un rapporto complesso con il denaro ed ebbe grossi problemi economici, dovuti in gran parte alla sua passione per il gioco d’azzardo.