Carole Blumenfeld
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Ricorda il suo primo acquisto?
Nel 2023 avrei risposto senza esitazione che è stato il mio primo acquisto significativo per la Galerie Didier Aaron: una doppia testa in bronzo, ispirata alla scultura di Giunone, nota come la «Giunone Cesi», conservata ai Musei Capitolini a Roma. L’ho acquistata nel 1975 in Inghilterra per 900 sterline, quando avevo appena iniziato a lavorare per mio padre, solitamente molto critico. Quando l’ho portata a Parigi, però, ha conquistato il suo favore, tanto che ha ritenuto opportuno consultare il mercante Alain Moatti. Alla fine la vendemmo a Pierre Bergé come opera del Seicento italiano. Alla vendita della collezione Yves Saint Laurent-Pierre Bergé nel 2009, è stata acquistata per oltre 2 milioni di euro dalla galleria Kugel, che l’ha poi ceduta al J. Paul Getty Museum di Los Angeles. Oggi sappiamo che fu commissionata da Francesco I a Primaticcio e che in seguito fece parte delle prestigiose collezioni dei Crozat e poi dei Baroni Masham.
La sua risposta oggi sarebbe diversa?
Sì, e mi tocca nel profondo. Di recente mi ha particolarmente commosso riscoprire un foglio di Guillaume Guillon Lethière che era stato dimenticato per molto tempo. Quando avevo 14 anni, mio fratello Olivier, di tre anni più grande di me, fondò un club di disegno con Carlos d'Arenberg, Rémi Camus e altri due amici, al quale fui invitato a partecipare. Ogni tre mesi investivamo ciascuno 100 franchi (oggi sarebbero poco più di 90 euro), un «gruzzolo» che ci permise di acquisire venti, se non trenta, disegni. Quando la nostra piccola associazione si sciolse, ce li spartimmo tra di noi. Ho conservato, tra gli altri, il grande foglio di Guillon Lethière, che ha suscitato il grande interesse di Olivier Meslay ed Esther Bell, curatori della mostra al Clark Art Institute, a Williamstown, dov’è stato esposto. Attualmente è visibile al Louvre (fino al 17 febbraio) nella sezione parigina della retrospettiva «Guillon Lethière, né à la Guadeloupe». Questo è probabilmente il ricordo più prezioso che ho di mio fratello Olivier, un conoscitore eccezionale che mi ha insegnato tutto quello che so.
Le va di parlare della straordinaria carriera di suo padre?
Didier Aaron discendeva da una famiglia di ebrei alsaziani, presenti in Francia dalla fine del Settecento, alcuni dei quali provenivano dall’Olanda (una settimana prima della morte del banchiere Michel David-Weill ho scoperto che eravamo cugini di primo grado). Mio nonno era presidente del sindacato dei banchieri della Borsa di Parigi, mentre mia nonna, amica di Henri Bergson, Jean-Michel Frank e Marie Laurencin, aveva creato una piccola società, SIN France, specializzata nell'importazione di oggetti cinesi, ma si interessava anche di mobili. Allo scoppio della guerra, i miei nonni partirono per le Alpi. Quando furono emanate le prime leggi antiebraiche, mia nonna si recò a Vichy per interrogare Pétain sulla loro assurdità. Il maresciallo le rispose: «Madame Aaron, suo marito ha la Legion d'onore. Sa, ci sono ebrei ed ebrei. Non si preoccupi!». Lei tornò immediatamente dalla sua famiglia e disse: «Ce ne andiamo!». Mio padre ha combattuto una buona guerra e suo fratello maggiore, Jean-Claude, il futuro costruttore della torre Maine-Montparnasse, ha combattuto una guerra ancora migliore creando la rete di resistenza Masséna. Fu nel Vercors, mentre mia madre si stava riprendendo dal tifo, che i miei genitori si incontrarono. Mio padre, che era molto bello e molto poetico (assomigliava a Gérard Philipe nel film «Fanfan la Tulipe», diretto da Christian-Jaque, nel 1952) le disse: «Isabelle, se ne esco vivo, ti sposo». Si sposarono nel 1946 e, poiché la rovina dei genitori aveva impedito a mio padre di seguire la carriera a cui avrebbe potuto aspirare, si dedicò al commercio di mobili. Ben presto si incrociò con l’antiquario Alain Demachy e alla fine degli anni Cinquanta avevano conquistato la fiducia di Edmond de Rothschild.
Sono nato dall’unione di due mondi molto diversi. Mio padre si è convertito per sposare mia madre, eppure sul letto di morte, nel 2009, ci ha detto: «La religione più bella è quella cattolica; io sono ebreo». Mia nonna materna, che era alquanto antisemita, non la vedeva così, il che ha avuto un forte impatto sui rapporti familiari e anche sul rapporto con mio fratello, che lei aveva allevato contro nostro padre.
Sapevate entrambi di voler seguire le orme di vostro padre?
Mio padre voleva che facessimo studi «seri», Scienze Politiche per Olivier e un Master in Management all’Università Paris Dauphine per me, e storia dell’arte. Nel 1974, dopo la laurea, ho iniziato un master sulla teoria del colore da Charles Baudelaire a Robert Delaunay. Avrei voluto aprire un’agenzia di comunicazione e pubblicità, ma ho scelto la strada più facile. Mio padre, figura irremovibile, ci avrebbe sostenuto solo se avessimo accettato di lavorare al suo fianco in galleria, e io e mio fratello amavamo questa professione. È così che ho iniziato, dividendomi tra Parigi e l’Inghilterra, dove seguivo le vendite in provincia.Mio fratello, già affascinato da Jean-Baptiste-Marie Pierre, era appassionatissimo di pittura antica. Nel 1975 organizzò una splendida mostra su Hubert Robert. Per quanto mi riguarda, quando ho lasciato l'università, quello che conoscevo meglio era il mondo dell’arte contemporanea. Ho frequentato tutta la banda di Supports/Surfaces grazie allo storico dell’arte, mio amico, Boris Eizykman. È stato lui a presentarmi Ivan Messac, di cui ho finanziato le prime serigrafie. Allo stesso tempo, sostenevo una rivista di cinema indipendente che portavo ogni mese a New York, sperando di venderla a Downtown. Contemporaneamente, il gallerista Claude Bernard si rivolse a me e a mio fratello perché aiutassimo David Hockney, che era alla ricerca disperata di scenografie teatrali. Organizzammo un pranzo con Hugues Gall, allora vicedirettore dell'Opéra di Parigi, e Hockney poté finalmente realizzare le sue scenografie...
E lei lasciò Parigi per andare lontano...
Nel 1976, mio padre, che voleva trasferirsi a New York, trovò una galleria al 32 East 67th Street, nel quartiere di Lenox Hill, a Manhattan. Ho colto al volo l'occasione e sono partito il 23 agosto 1976. Quando arrivai a New York, rifiutai l’offerta della rivista artpress di scrivere una pagina mensile sulla vita artistica di SoHo. Ero veramente stupido... La galleria, che seguii per oltre un anno, aprì il 15 novembre 1977. Come a Parigi, di cui era la galleria gemella, un piano era dedicato ai dipinti, un altro ai mobili e il terzo agli uffici e all'interior design. Nel 1959 mio padre, in collaborazione con Alain Demachy e poi con l’architetto d’interni Jacques Grange, fondò la prima o la seconda agenzia di interior design in Francia, con un approccio totalmente indipendente dalla nostra attività di antiquari. Mio padre credeva nella decorazione.
Il gusto era simile a Parigi e a New York?
Gli americani non volevano comprare i loro mobili francesi negli Stati Uniti, questo era ovvio. Esponevo dei pezzi notevolissimi che passavano però del tutto inosservati. A Parigi, invece, li si vendeva nel giro di una settimana. Quando Gillian Wilson, fondatrice del dipartimento di arti decorative del Getty Museum di Los Angeles, vide il superbo secrétaire di Joseph Baumhauer, che avevamo acquistato dalla vedova del mercante d'arte Paul Rosenberg, non mostrò alcun interesse. Mio padre, resosi conto che non potevo venderlo, alla fine chiese di esporlo a Parigi, a un prezzo nettamente superiore ai 100mila dollari che mi aspettavo. Gillian Wilson se ne innamorò a prima vista e il secrétaire è ora al Getty!
Aveva molte frecce al suo arco...
Per la mia prima mostra ho lavorato con lo storico dell’arte, collezionista e mercante Félix Marcilhac per organizzare un evento Art Déco. Mio padre mi disse chiaramente di non farlo più... Ancora una volta ho fatto la scemenza di cedere alle sue istruzioni. Da allora ho organizzato mostre su vari argomenti che mi affascinano, come i mobili inglesi sotto Guglielmo IV, re del Regno Unito dal 1830 al 1837, lo stile Biedermeier (1815-48), Augustus Pugin, decoratore del Parlamento di Londra (1836-67), i mobili vittoriani americani e i quilt!
Negli Stati Uniti lei ha lavorato molto per il Comité Colbert.
Il Comité Colbert, fondato nel 1954 dal profumiere Jean-Jacques Guerlain, è un'associazione che ha lo scopo di promuovere e trasmettere la creatività e il savoir faire francesi. Nel 1983 mio padre mi chiese di andare a uno degli eventi organizzati a Tokyo, dove incontrai Jean Bergeron, il direttore del Comitato. Parlammo di una mostra per celebrare il bicentenario della Rivoluzione francese e due anni dopo mi chiese di occuparmi della mostra «L’Art de vivre: Decorative Arts and Design in France, 1789-1989» al Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum, New York, oltre a fondare il Comitato Colbert negli Stati Uniti.
Il primo Salon du Dessin de Collection si è tenuto all'Hôtel George V di Parigi nel 1991.
Il Salon du Dessin è una storia straordinaria di cui sono estremamente orgoglioso. Il mio ruolo di presidente è stato quello di riunire persone che non andavano affatto d'accordo [ride]. Grazie alle idee dei galleristi Chantal Kiener e Bertrand Gautier, abbiamo inventato un connubio virtuoso, unico al mondo, tra mercato e musei, una pepita che Louis de Bayser cura dal 2013.
Vuole parlare di Bill Pallot?
Non voglio non parlare di lui! Nel 1993, tre anni dopo il mio matrimonio, sono tornato a Parigi su richiesta di mio padre, che voleva che prendessi il suo posto. Il mio compito era quello di occuparmi dei mobili, ma Bill Pallot era stato assunto da qualche anno per svolgere il medesimo incarico. Nel 1987 l’antiquario Jean Gismondi e mio padre avevano sostenuto la pubblicazione del suo notevole libro L'Art du siège au XVIIIe siècle en France (1720-1775) uscito per Acr éditions. Mio padre era affascinato da Pallot, che aveva un enorme rispetto per lui. Il contratto che avevano firmato, lo scoprii molto più tardi, era un semplice pezzo di carta in cui mio padre permetteva a Pallot di continuare la sua attività indipendente, le sue expertise e i suoi corsi, occupandosi dei mobili della nostra casa. Un giorno, poco dopo il mio ritorno, Pallot e io stavamo passeggiando nella galleria Faubourg-Saint-Honoré quando abbiamo avuto un diverbio. Pallot mi disse: «Non sono d’accordo, andiamo da tuo padre». Invece di dirgli che mi aveva riportato a Parigi per gestire la galleria, mio padre rispose: «Ragazzi, ragazzi, risolvetevela tra di voi». Da quel momento in poi, ho pensato di essere abbastanza intelligente da far capire a Bill Pallot che era nel suo interesse andare d’accordo con me, visto che sarei stato il successore di mio padre. Nel 2016 ho subito il più grande shock della mia carriera. Ho scoperto che tutto era stato vano e che non avevo visto nulla. Quando la vicenda esplose (Bill Pallot e l’antiquario Laurent Kraemer, con la complicità dell’ebanista Bruno Desnoues, furono accusati di «frode organizzata» in relazione a un commercio di false sedie del Settecento. Pallot sarà rinviato a giudizio per le stesse accuse nel novembre 2023, Ndr), sono stato preso in custodia per essere interrogato da un agente di polizia dell’Ocbc-Office central de lutte contre le trafic de biens culturels e rilasciato nel tardo pomeriggio. Non sono mai stato accusato di nulla né convocato come testimone. L’unica cosa che mi lega a Bill Pallot è che sono stato il suo datore di lavoro per tutti quegli anni.
Lei ha tre gallerie, a Parigi, New York e Londra..
Nel 2012 mi sono reso conto che i mobili erano in difficoltà e che con la decorazione stavo perdendo soldi. Ho proposto a Jacques Grange di unire i suoi due uffici, quello di casa nostra e quello che aveva vicino al Palais-Royal, ma lui ha deciso di interrompere la nostra collaborazione. Vent'anni prima gli avevo già fatto la stessa proposta, ed era una buona proposta. Mio padre consigliò a Jacques di non accettare. Mio padre voleva che gli succedessi, ma allo stesso tempo non voleva che lo facessi. Segò più volte il ramo su cui ero seduto. Quindi non aveva più senso mantenere i 1.000 mq di rue du Faubourg-Saint-Honoré. Bruno Desmarest ha assunto la gestione del negozio parigino, nei 350 mq dell’ex galleria Fabius, e io sono partito per New York. Nel 2016 ho chiuso definitivamente il reparto mobili. Nonostante il mio attaccamento alle arti decorative rimanga, lo scandalo mi ha lasciato talmente disgustato da non voler più guardare i mobili del Settecento che ho tanto amato e che incarnano l’apice dell’arte francese.
Il gusto Aaron per la pittura e il disegno è facilmente riconoscibile.
Per me questa è l’identità della casa e voglio perpetuarla. D’altra parte, vorrei promuovere opere di un periodo leggermente più tardo, forse fino all'inizio del ’900. In ogni caso, non ho mai acquistato e non sono disposto ad acquistare pensando a un cliente specifico. Sono un mercante, non un broker. Compro per il mio stock e per una certa idea di pittura e disegno.
Lei è ora membro del comitato di programmazione di FAB Paris, nato dalla fusione di Fine Arts Paris & La Biennale.
FAB Paris non può non avere successo, e per fortuna abbiamo Hélène Mouradian alla sua guida. Negli ultimi diciotto anni è stata la fata madrina del Salon du Dessin. Sta facendo un lavoro fantastico per portare Parigi sulla mappa. Quella del mercante d’arte è una professione fragile e difficile. Non è più un lavoro, ma una passione. Ho sempre voluto difendere la nostra professione e svilupparla, seguendo l’esempio del Salon du Dessin. Parigi ha bisogno di un grande evento di belle arti. Dalla fine degli anni Novanta si è creata una frattura tra le opere eccezionali e quelle puramente decorative. Questo valeva prima per i mobili e ora per i dipinti. In futuro i mercanti si specializzeranno sempre di più e FAB Paris è un’occasione non solo per incontrare nuovi clienti, ma soprattutto per educarli, perché credo fondamentalmente che solo i migliori mercanti, desiderosi di trasmettere le loro conoscenze, sopravviveranno. Educare i clienti è essenziale.
Qual è l’oggetto che non venderà mai?
Ho una collezione estremamente varia. Colleziono minerali da quando avevo 14 anni. Ho avuto la fortuna di avere un inquilino a New York, Barry Friedman, che era sempre sei mesi avanti a tutti gli altri e grazie al quale io e mia moglie Marina abbiamo ora una collezione molto bella di vasi di Murano contemporanei, in particolare di due artisti: Yoichi Ohira e Massimo Micheluzzi. Amiamo anche le ceramiche giapponesi e, naturalmente, il disegno. Per rispondere alla sua domanda, ci sono due scimmie cinesi in cloisonné, una beige e una nera, che ho avuto da mio padre, e un ritratto in gesso rosso di Alexandre Iacovleff del re d'Etiopia, che amo molto.
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