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Da sinistra: «Veduta di Napoli da Capodimonte» (1813), di Alexandre Hyacinthe Dunouy. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (particolare); «Vesuvius» (1985), di Andy Warhol. Napoli, Museo Real Bosco di Capodimonte (particolare)

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Da sinistra: «Veduta di Napoli da Capodimonte» (1813), di Alexandre Hyacinthe Dunouy. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (particolare); «Vesuvius» (1985), di Andy Warhol. Napoli, Museo Real Bosco di Capodimonte (particolare)

I Farnese e i Borbone in trasferta alla Reggia di Venaria

Dal Museo di Capodimonte 76 capolavori (da Masaccio a Tiziano, da Parmigianino a Caravaggio) raccontano il collezionismo delle due famiglie che resero Napoli una città cosmopolita

Beatrice Cumino

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Oltre 80 capolavori sono allestiti dal 29 marzo al 15 settembre nella Reggia di Venaria in occasione della mostra «Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol», a cura di Sylvain Bellenger e Andrea Merlotti e realizzata dal Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con il Museo Reale Bosco di Capodimonte e il sostegno del Ministero della Cultura.

Le 76 opere provenienti dal Museo di Capodimonte, cui se ne aggiungono 6 dai Musei Reali di Torino, guidano i visitatori alla scoperta del collezionismo delle due famiglie che resero Napoli una città cosmopolita, capitale del Regno delle Due Sicilie, i Farnese e i Borbone. I dipinti e gli oggetti esposti raccontano il rapporto con i personaggi per cui furono realizzati e le vicende che condussero una delle raccolte più importanti in Europa tra il Cinquecento e il Settecento a diventare il Museo che è oggi.

Il percorso inizia nella sala «Artisti “napoletani” per la corte sabauda» che ricorda i rapporti tra i Savoia e i Borbone. I maestri napoletani, infatti, furono protagonisti attivi per gli altari di corte e i cantieri delle Residenze Sabaude. Tra gli artisti selezionati figurano Francesco Solimena (1657-1747), presente con «Eliodoro cacciato dal tempio di Gerusalemme» (1721-23) della Galleria Sabauda, Sebastiano Conca (1680-1764), Corrado Giacinto (1703-66) e Francesco de Mura (Napoli 1696-1782), rappresentanti del Settecento napoletano e del solido rapporto instaurato da Filippo Juvarra nella capitale del Regno durante gli anni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III.

Si può ricondurre la nascita della Reggia di Capodimonte al momento dell’ascesa al trono del Regno di Napoli di Carlo di Borbone nel 1732, quando entrò in possesso del Ducato di Parma e Piacenza, favorito dalla madre Elisabetta Farnese di Spagna. Infatti l’eredità materna, e in particolare la vasta collezione d’arte dei Farnese, necessitava di uno spazio dove essere allestita. Il Palazzo Reale di Napoli non aveva una galleria e così nel 1738 venne posta la prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte affinché il giovane sovrano potesse assicurare la conservazione della collezione d’arte Farnese. Dal 1739 una commissione venne incaricata di studiare la possibilità di esporre la raccolta in un’ala dell’edificio in costruzione «destinata per la collezione di quadri, libri, medaglie, ed altre cose che vennero di Parma», identificando nelle camere rivolte al mare le più luminose e quindi le più adatte. Ancora oggi è possibile ricostruire la disposizione delle opere grazie ai racconti dei viaggiatori del Grand Tour, tra cui quelli di Winckelmann (1758) e del canonico Sigismondo Manci (1760).

Questa storia è ripercorsa in mostra attraverso le opere dei principali nuclei collezionistici, quello farnesiano e quello borbonico, cui si aggiungono le opere provenienti dalle chiese del territorio. Sotto la spinta culturale di Carlo Borbone, si assistette, a Napoli, anche alla creazione di fabbriche e manifatture protette la cui produzione di arazzi (1737), porcellane (1743) raggiunse alti livelli. Tra i capolavori giunti a Torino da Capodimonte, la cui galleria alla fine del ’700 contava circa 1.800 dipinti e che è diventato museo statale nel 1957 accogliendo tutte le raccolte medievali e moderne dal Museo nazionale, l’ex Palazzo dei Regi Studi, figurano alcune tra le opere più iconiche della storia dell’arte italiana e non solo: la «Crocifissione» (1426) di Masaccio, «Papa Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese» (1545-46) e «Danae» (1544-45) di Tiziano, «La Trasfigurazione » (1478-79 ca) di Giovanni Bellini, «Ritratto di giovane donna detta “Antea”» (1535 ca) di Parmigianino, «Atalanta e Ippomene» (1615-18 ca) di Guido Reni, «La Flagellazione» (1607) di Caravaggio e «Ercole al bivio» (1596) di Annibale Carracci.

Da sinistra: «Veduta di Napoli da Capodimonte» (1813), di Alexandre Hyacinthe Dunouy. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (particolare); «Vesuvius» (1985), di Andy Warhol. Napoli, Museo Real Bosco di Capodimonte (particolare)

«Papa Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese» (1545-46), di Tiziano Vecellio. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte

Beatrice Cumino, 27 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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