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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliSecondo un nuovo studio internazionale pubblicato sulla rivista «Plos One», al quale ha partecipato l’Università di Pisa, insieme agli atenei di Groningen e di Southern Denmark nell’ambito del progetto europeo dell’Erc (European Research Council) «Le mani che scrissero la Bibbia», i Rotoli del Mar Morto sono più antichi di quanto finora ipotizzato; in alcuni casi la loro stesura è contemporanea all’epoca in cui sono vissuti gli autori anonimi dei testi biblici. La ricerca ha combinato per la prima volta l’intelligenza artificiale con la datazione al radiocarbonio permettendo di affinare la cronologia dei manoscritti.
I test condotti su 135 rotoli hanno rivelato che numerosi manoscritti sono in realtà molto più antichi di quanto sinora ritenuto. I manoscritti in scrittura di tipo asmoneo, tradizionalmente datati tra il 150 e il 50 a.C., risultano a volte precedenti anche alla metà del II secolo a.C. (cioè intorno al 175-150 a.C. o anche alla fine del III secolo a.C.). Anche la scrittura erodiana è risultata più antica del previsto, indicando una coesistenza dei due stili già dalla fine del II secolo a.C., piuttosto che dalla metà del I secolo a.C., come ritenuto finora.
Lo studio ha inoltre permesso di analizzare due frammenti del Libro di Daniele e dell’Ecclesiaste (4QDanielc e 4QQoheleta) che risalgono rispettivamente al II e al III secolo a.C., lo stesso periodo in cui si presume siano vissuti gli autori anonimi dei rispettivi testi biblici. È la prima volta che frammenti della Bibbia possono essere associati con così alta probabilità al tempo dei loro estensori, offrendo una prova tangibile per gli studiosi che si interrogano sulle origini della Bibbia e sulla trasmissione dei suoi testi.
La squadra pisana era composta dalle professoresse Ilaria Degano e Maria Perla Colombini e dal dottor Jacopo La Nasa del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, ha partecipato allo studio mettendo a punto protocolli innovativi per la rimozione di contaminanti presenti nei frammenti, in particolare sostanze residue di vecchi restauri, che avrebbero potuto alterare l’accuratezza della datazione al radiocarbonio.
«Il nostro compito è stato assicurare che i materiali inviati per la datazione fossero il più possibile puliti e privi di residui che potessero alterare i risultati, ha dichiarato la professoressa Ilaria Degano. Per farlo, abbiamo sviluppato e validato un protocollo specifico che consente di rimuovere i contaminanti senza compromettere l’integrità del campione e di verificarlo analiticamente. È stata una sfida che ha richiesto grande precisione, perché abbiamo lavorato su reperti unici e fragili. Questo approccio, altamente innovativo, potrà essere impiegato in futuro anche su altri manoscritti antichi, offrendo uno standard avanzato per la preparazione di campioni destinati alla datazione radiometrica».
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