«Resting place II» (2024) di Antony Gormley

Cortesia dell’artista e della Galleria Continua. © L’artista. Foto: Huang Shaoli

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«Resting place II» (2024) di Antony Gormley

Cortesia dell’artista e della Galleria Continua. © L’artista. Foto: Huang Shaoli

I 132 «body buildings» di Antony Gormley

Spazio e corpo umano sono da sempre al centro dell’indagine dell’artista inglese, che nella Galleria Continua presenta anche una grande installazione che prende vita grazie alla presenza del pubblico

«“Resting Place II” evoca il rapporto del corpo umano con il suolo, la superficie della terra. E rimanda a due tipi molto diversi di “abbandono”: quello rilassato del corpo sulla spiaggia e quello del migrante che ha cercato, forzatamente o liberamente, una nuova casa». Così Antony Gormley spiega l’opera cardinale intorno a cui ruota la mostra «Body Buildings» (fino al 14 aprile), terza personale che la Galleria Continua gli dedica nella propria sede pechinese dopo «Another Singularity» (2009) e «Host» (2016). Al centro dell’indagine compare la relazione tra l’individuo e l’ambiente costruito («built environment»), che porta l’artista londinese, da sempre interessato al rapporto tra spazio e corpo umano, a un largo utilizzo di materiali come ferro e terracotta, spesso impiegati nei contesti antropizzati e capaci di fare «pensare e sentire il corpo in questa condizione». «Resting Place II», in particolare, evoca l’immagine di un fitto labirinto, che invita i visitatori a entrare e a esplorare. L’opera è costituita da 132 corpi per lo più sdraiati, a grandezza naturale, realizzati con mattoni di terracotta impilati, e alludono al «corpo a riposo» come dimora umana primordiale.

In stretta relazione con la cultura cinese, dalla lunga tradizione nell’uso anche scultoreo della terracotta, il mattone diventa così un «pixel fisico» secondo l’artista, un oggetto tangibile che gli consente di disporre le figure in posizioni ortogonali ma precarie, «dal rilassamento scomposto alla posizione fetale evocatrice di un senso di auto-protezione», in un accostamento in cui si confrontano stati di rilassamento e appagamento con altri di ripiegamento e difesa. Se osservata dall’altro, la grande installazione, solo a una prima occhiata caotica esposizione di materiali da costruzione, prende vita grazie alla presenza dei visitatori, che si spostano creando un campo dinamico animato dall’esperienza soggettiva. 

La capacità dell’ambiente urbano di plasmare e rispecchiare le relazioni umane è invece il tema delle sculture in ferro «Circuit» e «Ally», ispirate a infrastrutture che innervano le nostre città come strade, circuiti elettrici e fognature. In particolare, «Ally» usa grandi blocchi di ghisa per verificare come due corpi possono trovare stabilità rintracciando un comune centro di gravità. In «Short» e «Shame» il corpo viene rappresentato come campo energetico indipendente che devia dal suo centro di gravità, mentre «Rule III» e «Buttress» trasformano lo spazio corporeo in un’impalcatura reticolata che ricorda gli scheletri dei grattacieli dell’architettura contemporanea. Presenti in mostra anche una serie di disegni, ispirati alla luce e alle galassie ma anche all’esplorazione dell’oscurità, pensata sia come esperienza fisica sperimentata internamente al corpo, sia come condizione psicologica vissuta in prossimità di un altro corpo.

«Resting place II» (2024) di Antony Gormley. Cortesia dell’artista e della Galleria Continua. © L’artista. Foto: Huang Shaoli

Elena Franzoia, 19 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

I 132 «body buildings» di Antony Gormley | Elena Franzoia

I 132 «body buildings» di Antony Gormley | Elena Franzoia