Maichol Clemente
Leggi i suoi articoliSi è omaggiato Donatello. Stiamo celebrando Canova. Nel mezzo c'è stata anche una mostra dedicata alla scultura veneziana del Rinascimento. Insomma: il 2022 verrebbe più che naturale etichettarlo come l’anno della Scultura. Mai si erano viste tutte insieme iniziative dedicate a quest’arte e a secoli e contesti così differenti. La speranza è che tali eventi portino a una maggiore conoscenza di questi manufatti e dell’importanza della loro conservazione materiale anche per le generazioni future. Oltre alle esposizioni, questo scopo lo perseguono anche i libri, i restauri, le presentazioni e i convegni. Alla fine, essenziale è che al centro della ribalta ci siano sempre e comunque le opere: la disaffezione e il silenzio provocano più effetti negativi di quel che si possa credere.
A tal proposito, vorrei spezzare una lancia a favore di un’opera che per ragioni senza dubbio valide non si è vista né all’irripetibile esposizione dedicata a Donatello a Firenze, né tantomeno in quella organizzata alla Ca’ d’Oro sulla scultura rinascimentale in laguna. Sto parlando del «San Giovanni Battista» della Basilica di Santa Maria Gloriosa dei Frari: una statua policroma intagliata nel legno la cui altezza si aggira intorno ai 140 cm.
Realizzata da Donatello nel 1438 (cinque anni prima del suo trasferimento a Padova), venne spedita a Venezia dalla Toscana su richiesta della comunità fiorentina di istanza in laguna, che la destinò a decorare un altare di quella chiesa intitolato al santo patrono della città d’origine. Oggetto di un primo e unico restauro nel lontano 1973, il «Battista» è una scultura difficilmente avvicinabile e la cui conoscenza (peraltro non sempre diretta) è confinata al ristretto gruppo degli specialisti.
Che occasione irripetibile sarebbe stata quella di farlo uscire dalla sua attuale collocazione (che beninteso non è quella originaria) e potersi confrontare vis-à-vis, anche per un solo mese, con questa «figura selvatica a colpo d’occhio, fragile e incerta nello stare, solenne e autorevole nel volto e nel gesto», come l’ha definita Francesco Caglioti nel catalogo edito da Marsilio della mostra di Palazzo Strozzi e del Museo Nazionale del Bargello.
Avremmo potuto capire molte cose sulla tecnica, sul restauro di cinquant’anni fa, sul livello raggiunto all’epoca e su eventuali, possibili interventi «rigenerativi». I visitatori avrebbero altresì potuto fissare i propri occhi su quel viso, lasciandosi commuovere dalla potente umanità che da esso promana. Dunque, da una parte, un invito a chi legge ad andare a Venezia, ai Frari, e contemplarlo anche da lontano. Dall’altra, invece, un invito a chi può a far sì che questa non rimanga lettera morta.
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