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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliAjaccio (Francia). Dopo il Seicento fiorentino e quello lombardo, è ora il Seicento veneziano al centro di una mostra al Palais Fesch-Musée des Beaux-Arts, che chiude un «trittico» dedicato al Seicento italiano.
La mostra «Incontri a Venezia: stranieri e veneziani nell’arte del XVII secolo» (dal 29 giugno al primo ottobre) è stata curata da Linda Borean e Stefania Mason, docenti di storia dell’arte moderna all’università di Udine, e da Andrea Bacchi, direttore della Fondazione Zeri di Bologna. La prima grande mostra sulla pittura veneziana del XVII secolo, ricordano i curatori, si tenne a Venezia nel 1959. Da lì prese il via un reale interesse per questo periodo della storia dell’arte, con una serie di ricerche e monografie (come i volumi di Rodolfo Palluchini dell’81) che permisero di migliorarne le conoscenze. Tuttavia il Barocco veneziano «resta, a torto, un periodo trascurato, chiuso tra il secolo dei Geni, il XVI, e quello della Gloria, il XVIII».
In un percorso cronologico e tematico, articolato in sette sezioni, l’attuale mostra intende ora illustrare tutta la «vitalità» di questo secolo, in una città come Venezia dove approdavano artisti di ogni dove. Gli scambi che nacquero tra artisti locali (come Tiberio Tinelli, Girolamo Forabosco, Pietro Liberi, Giulio Carpioni e Antonio Zanchi) e «stranieri» (come il genovese Bernardo Strozzi, il fiorentino Sebastiano Mazzoni, il romagnolo Guido Cagnacci e il bavarese Johann Carl Loth) ebbero effetti così significativi «da rendere concettualmente problematica la definizione di pittore veneziano».
Il Palais Fesch si avvale dei prestiti di grandi musei francesi, con arrivi anche dal Louvre, e della collaborazione delle collezioni veneziane. Della collezione Pizzi è per esempio «Il suicidio di Catone» di Giambattista Langetti.

Giambattista Langetti, «Il suicidio di Catone» © Pier Luigi Pizzi
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