Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliLa storia ha un sapore d’altri tempi e racconta l’avventurosa vicenda di un’opera separata in due parti da tempo indefinito. Gli ingredienti sono perfetti per una narrazione: un giovane ricercatore dall’occhio allenato e l’identificazione fulminea del frammento mancante di un’opera scomparsa da oltre un secolo; un pozzo sul cui fondo giacevano piccoli tesori; opere murate nell’intercapedine dietro l’abside di una chiesa; un furto con destrezza in un museo... Infine, la presenza di Donatello che torna a materializzarsi tra le nebbie di Ferrara.
La storia del «Funerale della Vergine Maria» (un rilievo in terracotta alto 33 centimetri, largo 47 e spesso due, che mostra un delicatissimo gioco di arcate, prospettive e putti danzanti intorno agli apostoli che sfilano in corteo funebre) sembra infatti essere iniziata molto tempo fa, probabilmente proprio nel 1450, anno in cui è documentata la presenza di Donatello nella capitale estense. In quell’anno, infatti, lo scultore fiorentino, all’epoca già molto rinomato e da tempo attivo a Padova, si trovava a transitare nel capoluogo estense per una consulenza artistica, forse per una commissione dei duchi d’Este. Si tratta di una vicenda nota anche se, fino all’età contemporanea, si era ritenuto che non fosse rimasta alcuna traccia materiale del passaggio in città del grande scultore, attratto da nuovi committenti di prestigio ma incline ad abbandonare facilmente le situazioni per lui non appaganti.
Nuove ipotesi si aprirono solo nel 1916, quando la metà quasi esatta di questo piccolo bassorilievo con evidenti elementi di stiacciato e riferimenti classici fu fortuitamente ritrovata durante i lavori di rimozione di superfetazioni architettoniche, murata dietro l’abside della Chiesa di Santo Stefano. La qualità del modellato di quel frammento inaspettato suscitò subito l’entusiasmo degli storici dell’arte, in gran parte concordi sull’attribuzione a Donatello, e al ritrovamento seguì presto la collocazione nel Museo di Schifanoia, dove, però, nel 1921 il rilievo fittile fu vittima di un rocambolesco furto e scomparve. Sottratto insieme a numerose medaglie, monete, placchette e bronzetti, il frammento donatelliano doveva aver suscitato l’attenzione mirata di qualche esperto malintenzionato, che ne ha fatto perdere completamente le tracce. Così, nel tempo, la memoria dell’opera si è via via affievolita e quanti hanno continuato a studiarla, limitandosi a vecchie fotografie in bianco e nero, hanno iniziato a dubitare dell’attribuzione.
Intanto, il 20 luglio 1962, sul fondo di un pozzo di una casa situata a soli 800 metri dalla Chiesa di San Francesco, un privato aveva rinvenuto tre frammenti in terracotta (due figure classicheggianti di evangelisti, di cui una acefala, e la parte di una misteriosa formella) che da quel momento sono sempre rimasti nella collezione di famiglia, custoditi dagli eredi che li ritenevano di epoca rinascimentale, benché nessuno immaginasse la relazione con il frammento perduto. Fino al 2024, quando è entrato in scena Marco Scansani, un giovane storico dell’arte (Mantova, 1992) che ha riconosciuto al primo sguardo la connessione tra le due vicende, accostando mentalmente la parte del rilievo che si trovava tra le mani alla vecchia immagine in bianco e nero della metà scomparsa. «Mi trovavo a Ferrara per portare avanti la mia indagine sulle terrecotte ferraresi tra XV e XVI secolo, ricorda il ricercatore, e dopo aver “corteggiato” un collezionista per vincere la sua riservatezza ho potuto prendere visione diretta della sua raccolta. Vedendo un frammento di particolare fattura, l’ho immediatamente riconosciuto come la metà mancante della terracotta di Donatello raffigurante il “Funerale della Vergine Maria”, sparita da decenni, ma che avevo ben presente avendola studiata e vista in riproduzione nell’ambito delle mie ricerche. L’immagine mi è subito venuta alla mente come il completamento di quella che avevo di fronte e l’emozione è stata indescrivibile. Ne ho parlato con i docenti con cui lavoro e con il professor Francesco Caglioti, curatore dell’ultima grande mostra su Donatello a Firenze. L’entusiasmo è stato condiviso da tutti, perché è molto credibile che si tratti di un bozzetto lavorato velocemente a stecca dal grande scultore, forse per un’opera mai realizzata». Scansani ritiene di mano donatelliana anche le due figure di Evangelisti.
Marco Scansani, 32 anni, laurea all’Università di Bologna e dottorato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è ora assegnista di ricerca dell’Università di Trento. Impegnato nello studio della scultura ha già pubblicato il volume Il fuoco sacro della terracotta (Tre Lune, Mantova 2024) e si sta dedicando a un vasto progetto di mappatura delle terrecotte quattro cinquecentesche in area padana intitolato «C.Re.Te. (Toward a Catalogue of Renaissance Terracotta Sculpture in North Italy)», finalizzato alla realizzazione di un database a libera consultazione online. Condotto con la modalità della ricerca sul campo, il progetto rientra tra i Prin (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale) finanziati con fondi Pnrr, ed è coordinato da Aldo Galli (Università di Trento) e da Andrea Bacchi (Università di Bologna). Sarà un lavoro prezioso per documentare in maniera capillare la produzione di sculture in terracotta, un ambito caratterizzante della cultura artistica padana nel Rinascimento che presenta ancora ampi margini di rilettura e riscoperta. Ben lo dimostra questa recente scoperta, che apre nuove prospettive di studio sul ruolo di Donatello a Ferrara alla metà del Quattrocento e sulla sua influenza nel Nord della Penisola. Intanto un primo studio scientifico sui ritrovamenti è stato appena pubblicato da Scansani nell’articolo Fragments of a Ferrarese sketch by Donatello su «The Burlington Magazine» (novembre 2024).
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