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«Pessimismo e ottimismo» (1923) di Giacomo Balla, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea

Foto cortesia dell’Archivio Elena Gigli

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«Pessimismo e ottimismo» (1923) di Giacomo Balla, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea

Foto cortesia dell’Archivio Elena Gigli

La mostra romana sul Futurismo: «Non fatela, è una cialtroneria»

L’esposizione voluta dall’ex ministro Sangiuliano raccontata da chi ci ha lavorato: Massimo Duranti, Andrea Baffoni e Giancarlo Carpi. Inaugurazione prevista il 30 ottobre alla Gnam di Roma: si farà?

Guglielmo Gigliotti

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Nessuno vorrebbe essere ora nei panni di Gabriele Simongini, destinato a fare da parafulmine nella tempesta di critiche che dovevano colpire Gennaro Sangiuliano. A fine 2022 il giornalista de «Il Tempo» aveva ottenuto dall’allora neoministro della Cultura (ora neodimesso), l’incarico di curare la grande mostra sul Futurismo. Sangiuliano, ignaro di 70 anni di ricerca storico artistica sul movimento marinettiano e delle grandi mostre allestite in Italia e nel mondo (accompagnate da una mole di libri, saggi, studi e articoli), era certo che con questa mostra monstre di 650 opere finalmente qualcuno si sarebbe accorto del Futurismo. Ma Simongini voleva ancora di più: la mostra non avrebbe dovuto occuparsi solo degli anni propri del Primo e Secondo Futurismo (1909-44), ma proseguire fino ai giorni nostri, con il titolo «Il tempo del Futurismo 1909-2024»

Chiama così attorno a sé, e al designato co-curatore Alberto Dambruoso, un Comitato scientifico che comprende alcuni tra i maggiori conoscitori in Italia e all’estero dell’arte futurista, convocati mediante comunicazione ufficiale di Massimo Osanna, direttore generale Musei del Ministero. Sono Giovanni Lista, Günter Berghaus, Massimo Duranti, Claudia Salaris, Maurizio Scudiero, Giancarlo Carpi e Andrea Baffoni. Fervono per mesi i lavori, le riunioni, le richieste di opere ai musei e ai privati, gli incontri con Cristina Mazzantini, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e contemporanea di Roma che, dal 30 ottobre, dovrebbe ospitare la mostra. E poi succede qualcosa. Gabriele Simongini viene tecnicamente esautorato poco prima di questa estate da un Comitato organizzatore (costituito dalla Mazzantini, da Osanna e da Alessandro Giuli, allora presidente del MaXXI, ora ministro), il quale, per questioni di budget fa tagli copiosi alla mostra, dimezzandone le opere, ma senza consultare né il curatore né il Comitato scientifico, lasciando di stucco prestatori pubblici e privati. Dambruoso, inizialmente menzionato nelle richieste di prestito di opere, viene rimosso. A eseguire tecnicamente i tagli è Cristina Mazzantini. La scelta dell’editore del catalogo, Treccani, non avviene mediante gara pubblica ma con diretta designazione del Ministero. La comunicazione della mostra, nonché un programma di talk, è affidato a Federico Palmaroli, inventore sui social della pagina satirica «Le più belle frasi di Osho» e «appassionato» di Futurismo.

Anche dei testi in catalogo si occuperà il Comitato organizzatore e non il curatore Simongini, che viene travolto da critiche interne ed esterne, prendendosela con la stampa che tenta di capire le dinamiche contorte di una gestione debole e confusa di quella che doveva essere la mostra simbolo della Destra al governo, la grande rivincita, la risposta definitiva alla sofferta «egemonia culturale della sinistra».

Ma l’arte, se arte vera, non è di destra né di sinistra. E anche la trasparenza nei rapporti di lavoro. Così, i componenti del Comitato scientifico, dopo quasi un anno di grande impegno organizzativo, scrivono a Massimo Osanna per sapere quale sarà la loro fine. L’alto dirigente, travolto come tutti dal grande caos, si barrica come può dietro la frase «non risulta che sia stata formalizzata la nomina dei componenti del Comitato scientifico». Ha ragione. Doveva farlo lui, dopo il primo formale invito, e qualcuno dall’alto deve averglielo impedito. I componenti del Comitato scientifico «fantasma» hanno deciso di venire alla luce e raccontare la loro versione dei fatti. Claudia Salaris si era già dimessa nei mesi precedenti, Massimo Duranti, Andrea Baffoni e Giancarlo Carpi sono ora i primi a rilasciare le loro testimonianze in esclusiva per il «Giornale dell’arte».

La Galleria Nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma

Massimo Duranti: «Ministro Giuli, dica stop all’inaugurazione. Questo è una grande pasticcio internazionale»

Parafrasando Manzoni, si potrebbe dire, riguardo a «Il tempo del Futurismo», che «questa mostra non s’ha da inaugurare», almeno così come è stata configurata con un repentino blitz. Lo dicono molti di quegli esperti della materia con curriculum zeppi di mostre, saggi e cataloghi, che hanno lavorato per mesi e mesi alla sua costruzione, ora desaparecidos, non essendo per l’alta burocrazia del Ministero della Cultura (MiC) mai esistiti come componenti di un Comitato scientifico che non c’è (mai stato), perché forse qualcuno si è dimenticato di scrivere un decreto. Dunque al MiC c’è un secondo «caso Boccia», ma senza la bionda. Mi spiego.

Ho/abbiamo ricevuto l’invito scritto del direttore generale Osanna che scriveva anche a nome del ministro Sangiuliano, a far parte del Comitato scientifico. Dopo aver accettato, ho lavorato lungamente con il curatore Simongini, individuando le necessarie sezioni (ora sparite), trovando opere e compilando elenchi, interloquendo spesso con funzionari del Ministero e poi conducendo sopralluoghi alla Gnam con la nuova direttrice Cristina Mazzantini, la stessa che in febbraio, dopo che il MiC le riversò addosso l’organizzazione della mostra, convocò i futuri desaparecidos al museo per una lunga riunione. È avvenuto tutto abusivamente? All’antivigilia dell’inaugurazione, infatti, dopo un presunto cambio di programma, che non c’è stato, ma solo una decurtazione incontrollata delle opere, Osanna mi scrive che la sua lettera precedente è carta straccia (per tutti i membri designati, ma anche per il designato co-curatore Dambruoso, il cui nome compare in centinaia di lettere di Osanna spedite in mezzo mondo, ma le opere che verranno sono solo 16). Dunque, questa mostra sarebbe l’unica al mondo a non avere un Comitato scientifico, a meno che questi giorni ne inventino e decretino uno in extremis.

Essendo il più grande (non in senso di valore, ma solo anagrafico, non sentendomi ancora vecchio) e aduso a sentirmi sempre fedele alle istituzioni, grato per l’ospitalità di «Il Giornale dell’Arte», lancio un ultimo appello al ministro Giuli perché decida uno stop all’inaugurazione per vedere di rimediare a un grande pasticcio internazionale, presentando una mostra senza adeguata scientificità per i tagli indiscriminati, non compiuti dal curatore, a quanto si sa. Invece si sa che fu autoritariamente l’ex ministro Sangiuliano a ordinare i tagli (soprattutto dei privati), stilando anche i nomi dei nuovi autori per il catalogo e imponendo che dovesse essere la Treccani (hanno fatto la gara d’appalto?) a pubblicare il catalogo. Dopo la scure, risulterebbero 54 opere di Balla (molte irrilevanti) e 25 di Depero (alcune irrilevanti e invece con buchi clamorosi); 120 della Gnam, con molti capolavori ma anche opere di poca importanza. E però verrà da Philadelphia un celebre dipinto di Duchamp (che futurista non era, anzi rifiutò sdegnosamente ogni accostamento) che ci costerà 65mila euro, somma con cui avremmo potuto esporre decine di aeropitture, Arte Sacra Futurista (ma il Giubileo al MiC sembra che non interessi molto), Idealismo cosmico, Arte meccanica ecc. Rivoluzione non certo compensata dall’immissione di aerei, automobili (già previsti nel progetto), motociclette, radio, telefoni da campo, ditemi voi quanto necessari a contestualizzare (ma solo banalmente a spettacolarizzare), un insieme che porterebbe disdoro scientifico all’Italia e al suo Governo. Non nutro molte speranze che il mio appello venga accolto, ma mi sento in dovere, comunque, di proporlo. Ci sarebbe la possibilità di ricreare un minimo di scientificità rivalutando una dozzina di opere cancellate che, oltretutto, provengono da luoghi pubblici e privati già interessati al prelievo di opere, dunque con modestissimo aggravio economico. Si dovranno ripristinare le sezioni affidandole ai curatori già previsti, congiuntamente al curatore principale, ai quali assegnare anche il compito conseguente di scrivere i testi in catalogo. Sono disponibile, come credo altri. Ma questa volta ci vorrebbe una nomina ufficiale.

Ora c’è anche il rischio della deriva politica della mostra, cosa che, obiettivamente, all’inizio non c’era: nessuno mi ha suggerito opere del regime da inserire, eppure io ne ho inserite, di quelle che avevano una valenza artistica. Leggo tuttavia negli ultimi elenchi, di rafforzamenti di dipinti/sculture di apologia, soprattutto sembra che in catalogo scriveranno solo personalità dichiaratamente di destra, nessuno dei quali ha competenze specifiche sul Futurismo. Massimo Bray, direttore generale di Treccani, interpellato, ha risposto che non è lui a decidere chi scrive e il curatore ammette, con il classico scaricabarile, di non essere neanche lui a decidere, ma il Comitato organizzatore. Quello che nel mondo dell’arte abitualmente si occupa dei trasporti, allestimento ecc. e non certo dei contenuti della mostra e del catalogo (ma c’è un decreto che lo crea?). E pensate: sarebbe composto da Osanna, Mazzantini e Giuli, prima che diventasse ministro. A scrivere, di esperti, sarebbero rimasti solo Giovanni Lista da Parigi e Günter Berghaus.

Attendiamo fiduciosi, ma non troppo. [Mssimo Duranti]

Andrea Baffoni: «La mostra è un barcone sgangherato: mi tengo lontano da questa cialtroneria»

La vicenda della mostra «Il tempo del Futurismo» ha ormai assunto i contorni di una commedia anni Ottanta. Avevo fin dall’inizio espresso dubbi sulla validità del progetto, accettando comunque l’invito a prender parte al Comitato scientifico, ricevuto dal direttore generale Massimo Osanna, per una sorta di dovere morale nei confronti di una materia che studio da anni e per la quale ho curato mostre in Italia e all’estero, scritto saggi, tenuto conferenze e pubblicato libri. Col passare dei mesi, tuttavia, i dubbi non sono diminuiti ma aumentati, soprattutto per l’assenza di una regia competente. Infatti, il gran lavoro svolto per la compilazione di interminabili e, a questo punto direi improbabili, liste di opere, ha infine portato all’ormai nota epurazione di circa 300 pezzi. Episodio che ha rappresentato il primo imbarazzante «incidente» di percorso. Confesso che nella mia carriera di curatore non ho mai, e sottolineo mai, assistito alla cialtroneria di chiedere ufficialmente il prestito di una o più opere per poi dire, dopo aver ricevuto il consenso: «Mi scusi, ma non mi ero accorto di avere pochi soldi, pertanto rinuncio al prestito». Le parole non sono state proprio queste, ma il senso sì. Una situazione dalla quale, tuttavia, mi ero in parte già allontanato, esponendomi il meno possibile. E questo perché a me quella lettera del direttore generale non bastava. Ovvero, per lavorare attivamente a una mostra così complessa pretendo sempre un regolare contratto, ma questo impegno da parte della Gnam, o del Ministero, o dell’editore (come a un certo punto ci fu detto), non sembrava voler arrivare. E infatti, invece che il contratto, è arrivato il secondo atto di questa fantozziana commedia degli equivoci: «Il Comitato scientifico non è mai esistito», ci è stato comunicato. Che in parole povere significa anche dire: «Avete lavorato per nulla, e nessuno ve l’ha chiesto». E qui scatta la risata, almeno da parte mia, poiché smaschera definitivamente la cialtroneria che avevo percepito fin dall’inizio e che, da tempo, mi aveva fatto rallentare, con rammarico, ammetto, rispetto ad alcuni dei miei colleghi, pervicacemente impegnati a tentare ulteriori strade per salvare il salvabile. La verità è che non c’è niente da salvare, anzi è bene stare alla larga da questo barcone sgangherato che non sa dove andare. In preda alle correnti, vittima degli scandali, soggiogato dalla ridicolaggine di personaggi buffoneschi, un po’ guasconi e un po’ bravi ragazzi, avvezzi alle zingarate, ma con poco successo e che sono infine approdati nella stanza dei bottoni, senza però sapere quale spingere e nemmeno a cosa possa servire. [Andrea Baffoni]

Giancarlo Carpi: «Ho svolto un lavoro immenso per nulla»

Il 18 settembre 2023 incontro Gabriele Simongini che mi mostra il mio nome nella lista del Comitato scientifico della mostra, mi propone di scrivere un testo ed eventualmente di curare una sezione. Accetto le proposte dicendogli che gli manderò un progetto di sezione riguardo al legame tra Futurismo e «post-war», tema che interessava a entrambi. Il 26 ottobre 2023 ricevo dal MiC (n. prot. 20573), una lettera firmata dal direttore generale Musei Massimo Osanna: «Siamo lieti di sottoporre alla Sua attenzione la richiesta […] di voler aderire al Comitato scientifico della mostra». Accetto per iscritto, credendo che sia definitivo. Lavorerò quindi per l’ottenimento di circa 100 opere (da privati, musei, Gnam), con infiniti contatti e svariate giustificazioni scientifiche dirette a proprietari e direttori. A novembre, mi accordo con Simongini per la co-cura della sezione «Ricostruzione futurista dell’universo» insieme a Maurizio Scudiero, mentre un’altra sezione che, intanto, gli avevo proposto, si va realizzando. A dicembre stilo da solo l’elenco della parte letteraria della mostra (tale elenco sarà usato sino alla fine come fonte intellettuale per i prestiti). Il 13 febbraio 2024 Simongini chiede a me e Dambruoso un primo progetto di allestimento. Il 24 febbraio lo stesso Simongini manda a saggisti e comitato scientifico una mail in cui scrive che «dal Ministero mi dicono che gli autori dei testi in catalogo e i curatori delle sezioni saranno contrattualizzati […] non appena sarà conclusa la gara d’appalto per la casa editrice». Anche il co-curatore Dambruoso la riceve. Il 29 febbraio conosco la direttrice della Gnam, Cristina Mazzantini, discuto con lei e Simongini di tecnologia d’epoca. Ci chiede di fare l’allestimento per dimostrarle che le opere erano poche per lo spazio. Ci lavoro. Poi lo spazio raddoppia. Altri prestiti, nuovo allestimento. A inizio marzo Simongini ci manda l’esito della seconda campagna prestiti e chiede a me e Dambruoso di distribuire le opere per sezione. La deadline dataci dal MiC è il 5 aprile. Invio elenchi di opere a Duranti, Scudiero, Baffoni per le loro sezioni. E formo, ordino al suo interno con Scudiero «Ricostruzione futurista dell’Universo», e da solo «Sviluppi, ricostruzione e feticismo delle merci», «Anni 50», «Anni 60», «Anni 80», «Fotografia e cinema anni 30», «Cartellonistica». Una è in co-cura, una a mia cura. Le altre da assegnare. Il 2 maggio Simongini ci manda l’elenco degli autori dei testi e ci chiede il titolo del nostro. Glielo comunico per iscritto. Nella mia corrispondenza con MiC e Gnam (circa 350 mail) figurano Emanuele Merlino (capo Segreteria Tecnica del ministro), Osanna, Mazzantini. Risale al 3 luglio la mia ultima consulenza a Simongini su una informazione scientifica richiestagli dal MiC. Fino a settembre non mi viene ufficialmente fatto sapere più nulla del testo né della mia cura, né del compenso. A inizio settembre vedo le opere che io ho scelto, trovato, disposto, nell’elenco pubblico del bando di gara trasporti. Mando una pec a Treccani, editore del catalogo, ma non mi risponde. Poi il 19 settembre, Osanna e Mazzantini rispondono finalmente a un’altra mia pec: «Non risulta sia stata formalizzata la nomina di un Comitato scientifico» e «non risulta affidato il servizio editoriale». Ho lavorato nove mesi per lo Stato ma nessuno lo sa. [Giancarlo Carpi]

Guglielmo Gigliotti, 25 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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