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Il Getty da 30 anni cambia il mondo

Emily Sharpe

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Di solito il Getty è associato alla sua vasta collezione di manoscritti antichi, medievali e rinascimentali, ai pregevoli quadri, quasi tutti di arte antica con alcune opere successive come gli «Iris» di Van Gogh (1889) e gli oggetti decorativi. Mancano invece nel menu le opere moderne e contemporanee. Detto questo, potrebbe sorprendere sapere che il Getty Conservation Institute (Gci) sta facendo grandi passi avanti nello studio dei materiali e delle tecniche utilizzati dagli artisti moderni e contemporanei. Come mai questo interesse? Perché la sua ricerca beneficerà un gran numero di istituzioni e, elemento anche più significativo, perché il Gci può. La mission dell’istituto, che ha festeggiato il 30mo anniversario proprio quest’anno, è la ricerca nella conservazione delle arti visive, compresi oggetti, collezioni, strutture architettoniche e siti. In quanto organizzazione privata, non profit, che fa parte di un’impresa filantropica più ampia, il J. Paul Getty Trust, il Getty Conservation Institute gode non solo delle sostanziose risorse istituzionali del Getty, ma anche della libertà di scegliere i progetti più consoni alla sua mission. 

Massimo impatto

«Svolgiamo un lavoro che raramente le altre organizzazioni possono fare», spiega Tim Whalen, che ha diretto il Gci negli ultimi 17 anni, il terzo mandato più lungo nella storia dell’istituto. Whalen sottolinea poi che, nonostante l’interesse per il patrimonio, il Gci non è un’organizzazione specializzata nel settore. «Ci sono molte altre ottime istituzioni che si occupano di questo aspetto», afferma, spostando l’attenzione su temi e aspetti che beneficeranno un numero maggiore di soggetti, come la ricerca sui dipinti moderni o «Mosaikon», il programma di formazione per la conservazione dei numerosi mosaici dell’area mediterranea. «Non vogliamo cercare il Sacro Graal. Sarebbe bello trovarlo, ma andrebbe a vantaggio di una ristretta cerchia di persone, rispetto agli altri progetti a cui ci dedichiamo», sottolinea Whalen. Il budget annuo del Gci è di circa 15 milioni di dollari

«Snello e flessibile»

«Il Gci riesce a essere più snello e flessibile di altre organizzazioni analoghe che devono rispondere a esigenze politiche», afferma Jeanne Marie Teutonico, associate director per i programmi. «Abbiamo la capacità di individuare le esigenze di conservazione oltre i limiti convenzionali e di trovare soluzioni creative». La flessibilità dell’istituzione è stata messa alla prova quando un programma di formazione «Mosaikon» è stato spostato dalla Siria all’Italia a causa degli scontri armati. «Abbiamo dovuto trovare dei luoghi alternativi perché non potevamo andare dove avevamo previsto, spiega Teutonico. Non è il momento di abbandonare i nostri colleghi ma di aiutarli». Nonostante il cambiamento dell’ultimo minuto, molti dei partecipanti sono riusciti a raggiungere l’Italia, grazie ai visti di viaggio assicurati dai Paesi partner. «Abbiamo trovato una grande collaborazione, prosegue la Teutonico. Tutti si sono impegnati al massimo per riuscire a far uscire le persone dai Paesi sconvolti dalla guerra e farle partecipare al programma». 

Il successo di un progetto spesso è proprio il frutto di partnership forti. «Di solito dirigiamo noi i progetti perché abbiamo i fondi per organizzare il programma di ricerca, ma cerchiamo di non isolarci, afferma Whalen. La collaborazione ci aiuta a sfruttare al massimo le nostre possibilità e a rendere il più efficace possibile il nostro impatto». L’istituto ha lavorato con musei, organizzazioni che si occupano del patrimonio e società, tra cui la Disney Enterprise, con un progetto per studiare i materiali usati nelle animazioni. Il Gci ha collaborato anche con i Governi di diversi Paesi, come la Cina, con cui esiste un rapporto di lunga data grazie ai lavori alle Grotte di Mogao (un sistema di 492 templi scavati nella roccia, lungo la Via della Seta), e l’Egitto, dove si è dedicato alle tombe di Nefertari e Tutankhamon. 

Un ruolo chiaro nel mondo

Il Gci è molto cambiato dal 1985, quando aveva sede in una piccola struttura a Marina del Rey, prima di trasferirsi nell’attuale edificio progettato da Richard Meier, affacciato su Los Angeles. Tom Learner, direttore del Dipartimento di Scienza, spiega che il ruolo del Gci nel mondo è sempre più definito e ne dà il merito al suo status di organizzazione privata e non profit, che gli consente di operare in tutti i settori necessari alla conservazione, cosa che altre istituzioni non possono fare. «Possiamo capire tutto ciò di cui necessità questo settore, il che non è immediatamente ovvio. È un momento entusiasmante per il Gci», conclude Learner. 

Emily Sharpe, 04 novembre 2015 | © Riproduzione riservata

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