«Matrimonio mistico di santa Caterina» (1576) di Lucrezia Quistelli (particolare)

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«Matrimonio mistico di santa Caterina» (1576) di Lucrezia Quistelli (particolare)

Il Manierismo lombardo ad Alessandria

Nel Palazzo Monferrato una piccola ma imperdibile mostra che illustra l’evoluzione dal Rinascimento al Barocco della città, importante cerniera tra Lombardia, Piemonte e Liguria

Affrettatevi! Rimangono ancora solo quattro weekend per vedere la piccola, ma intensa, mostra «Alessandria preziosa», aperta a Palazzo Monferrato di Alessandria fino al 6 ottobre. Sarà certamente una gradevole sorpresa perché non sono frequenti le mostre d’arte antica che si tengono normalmente in questa città, terza in Piemonte per numero di abitanti. L’ultima iniziativa in ordine di tempo, e collegata idealmente a questa ora in corso, era stata «Alessandria scolpita, sentimenti e passioni tra gotico e rinascimento» svoltasi nel 2019, di cui ricordiamo, tra le molte opere esposte, il grande gruppo ligneo policromo del «Compianto sul Cristo morto», conservato a Serravalle Scrivia, l’ostensorio in vermeil di Voghera del 1456 (Museo del Castello Sforzesco di Milano) e il trittico di Gandolfino da Roreto proveniente da Guargnento. Il professor Fulvio Cervini, che già aveva curato la mostra del 2019, è responsabile anche di questa rassegna che segue l’altra secondo una logica temporale, infatti, se quella prendeva in considerazione opere prodotte tra il 1400 e il 1550 circa, questa abbraccia il periodo che va dalla controriforma fino agli inizi del XVII secolo.

Il sottotitolo «un laboratorio internazionale al tramonto del Cinquecento» indica l’obiettivo principale della mostra, cioè quello di evidenziare, attraverso l’esposizione di un’ottantina di opere accuratamente scelte, l’evoluzione artistica dal Rinascimento al Barocco, di quell’importante e, forse ancora poco conosciuto, centro artistico e culturale che gravitava attorno ad Alessandria, importante cerniera tra Lombardia, Piemonte e Liguria, punto di convergenza di culture diverse.

Elemento catalizzatore di questo processo fu certamente la figura di papa Pio V,  Antonio Ghislieri (regnante dal 1566 al 1572), che, quand’era ancora cardinale, volle fondare nel suo paese natale di Bosco (Marengo) un grande complesso conventuale domenicano al quale, una volta salito in cattedra, destinò ancora molte risorse, affidando l’intero apparato decorativo addirittura a Giorgio Vasari, che si dedicò alla realizzazione di numerose opere tra cui una grandiosa macchina d’altare smantellata poi nel 1710, ma di cui si conservano un paio di pale d’altare di grandi dimensioni e altri interessanti elementi. La presenza di Vasari portò benefici suggerimenti anche a tutti gli artisti che in quegli anni operavano nell’alessandrino; infatti, ai visitatori della mostra viene suggerito un ampio percorso complementare che comprende la visita di Palazzo Cuttica in città e altre otto tappe nel territorio, quali Bosco Marengo, Tortona, Torre Garofoli, San Sebastiano Curone, Novi Ligure, Voltaggio, Casale Monferrato, Serralunga di Crea dove, in ognuna, sono conservate opere strettamente inerenti alla mostra di Palazzo Monferrato, ma che per varie ragioni non potevano essere trasportate.

Tornando alla mostra «Alessandria preziosa», sono molte le opere di alta qualità e relativamente poco conosciute che meritano di essere citate in maniera particolare. Tra gli oggetti da Wunderkammer si segnalano un cofanetto in argento e vermeil e una brocca totalmente in vermeil, entrambi opere di uno dei migliori argentieri tedeschi del XVI secolo, Wenzel Jamnitzer (1507-85). Attivo a Norimberga, orafo di corte degli imperatori tedeschi della seconda metà del Cinquecento, da Carlo V a Rodolfo II, seppe accostarsi con attenzione allo stile del Rinascimento italiano, portando l’arte tedesca dal gusto gotico flamblojant, ancora in voga in quel periodo, al particolare Manierismo tedesco che da lui si diffuse a macchia d’olio ai migliori artisti operanti nei territori del centro-nord Europa. Il cofanetto, probabilmente un porta gioie, è assimilabile ad alcuni a questi similari conservati nella Schatzkammer di Monaco, nelle Grünes Gewölbe di Dresda e nello Schlossmuseum di Berlino e fa parte delle collezioni del medagliere Reale di Torino; si tratta probabilmente di un dono ricevuto da Emanuele Filiberto che, ricordiamo, nel 1557 aveva portato alla vittoria le truppe di Carlo V contro quelle francesi di Enrico II nella battaglia di San Quintino.

Molti gli argenti esposti, tra cui occorre ricordare il grande busto reliquiario di San Marziano, opera del genovese Domenico Vigne, che punzonò regolarmente il suo lavoro con la classica «torretta» e la data 1622. Di grandi dimensioni (103 cm), presenta una qualità tecnica fuori dal comune con alcuni dettagli, quali lo sguardo, la barba e la fitta decorazione della mitria e del piviale, che fanno pensare più a un’opera scolpita nel marmo piuttosto che sbalzata sulla lastra d’argento. Realizzata per volere del reverendo Giacomo Spinola, quest’opera è normalmente conservata nella cattedrale di San Lorenzo e Santa Maria Assunta a Tortona.

L’orafo Antonio Gentili da Faenza, attivo a Roma nella seconda metà del Cinquecento, è l’autore del «Reliquiario della Santa Croce», eseguito certamente per il complesso conventuale di Bosco Marengo dove arrivò nel 1571, insieme con altri due reliquiari simili a questo, ma dei quali si sono perse le tracce. Da un piedestallo a parallelepipedo in vermeil, finemente cesellato con ghirlande e girali che circondano lo scudo ovale con le insegne di Pio V, s’erge una colonna, ora in vetro, ma che probabilmente in origine era in cristallo di rocca scavato, contenente una lunga scheggia della Croce; la colonna termina con un capitello corinzio in oro, su cui poggia ancora la figura del Cristo che sorregge la Croce. La custodia, in legno foderato in velluto rosso con passamanerie applicate, è originale e completa degnamente questo reliquiario di fattura così particolare.

Un doveroso accenno alle poche, ma interessanti pitture presenti in mostra: dalla delicata «Santa Margherita d’Antiochia» opera del 1620 ca di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo al «Matrimonio mistico di santa Caterina», grande pala d’altare della parrocchiale di Santa Maria e San Pietro di Silvano Pietra, piccolo borgo non lontano da Voghera, opera datata 1576 e firmata dalla pittrice Lucrezia Quistelli. Si tratta dell’unica opera attribuibile con certezza a questa ottima artista, allieva a Firenze di Alessandro Allori, figlia del nobile Alfonso Quistella della Mirandola (importante consulente fiscale di Cosimo de’ Medici) e moglie di Clemente Pietra, della famiglia che deteneva il feudo di Silvano. Il benessere in cui viveva l’artista ne ha certamente condizionato il lavoro, permettendole di dipingere solo per piacere e non per necessità; buon per lei, ma non per noi che abbiamo solo pochissime opere al lei attribuibili.

Doveroso segnalare ancora un piccolo, ma gustoso, olio su rame di Bartholomeus Sprangler rappresentante il «Riposo durante la fuga in Egitto», tipico esempio della «maniera piccola» del maestro di Anversa, che piacque a tal punto a Pio V da farlo nominare pittore di corte per le pitture di piccolo formato.

Per finire una curiosità: il reliquiario di Tutti i Santi, una sorta di altarolo portatile in legno, che racchiude dietro le due ante frontali una piccola scaffalatura che contiene, ognuna accuratamente descritta e certificata, ben 210 piccole reliquie di santi diversi.

«Busto reliquiario di San Marziano» (1622) di Domenico Vigne

Gianfranco Fina, 13 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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