Ayodeji Rotinwa
Leggi i suoi articoliMentre molte fiere d’arte europee e statunitensi continuano a essere cancellate o rinviate a causa del Covid-19, le loro omologhe africane stanno andando avanti. E stanno trovando non solo sostegno, ma anche successo, alimentando ottimismo per più mercati emergenti. «L’annullamento non era un’opzione», afferma Nicole Siegenthaler, manager di Fnb Art Joburg a Johannesburg, in Sudafrica, una fiera tenutasi a novembre in versione online, con due sezioni distinte. La prima parte della fiera era una mostra di realtà virtuale e aumentata organizzata da Gallery Lab, nata come piattaforma di vendita in rete per gallerie e artisti emergenti. La seconda era una presentazione online ridotta che include gallerie più affermate come Goodman e Red Door.
Siegenthaler aggiunge che, del resto, «le gallerie africane hanno sempre dovuto essere innovative». Forse il passo più importante intrapreso dalla fiera è stato un certo allentamento nei criteri di selezione degli espositori per includere presentazioni di curatori indipendenti e gallerie che non dispongono di uno spazio fisico. Del resto nell’ecosistema artistico del continente africano le vendite effettuate da gallerie sono una minoranza rispetto a quelle online. In effetti, la reattività a un mondo in rapida evoluzione ha richiesto molte decisioni dell’ultimo minuto.
Art X Lagos, il principale evento artistico della Nigeria, è stato posticipato da novembre al 2-9 dicembre in solidarietà con le proteste del movimento #EndSARS contro la brutalità della polizia che da settimane pervade il Paese. Le proteste sono iniziate all’inizio di ottobre in risposta alle violenze perpetrate dalla SARS, la Squadra speciale anti-rapina della Nigeria, istituita nel 1992. L’unità è accusata di aver eseguito arresti ingiusti, estorsioni e torture di cittadini innocenti e, dall’inizio delle proteste, migliaia di giovani manifestanti nigeriani sono stati oggetto di repressioni violente e talora mortali da parte dei soldati governativi.
La fiera include una nuova sezione, «New Nigerian Studios», che presenta 100 opere di protesta, create su invito dell’organizzazione della fiera. «Eravamo determinati a mettere in scena la mostra, ma è cambiato il tipo di mostra che presentiamo», afferma Tokini Peterside, il fondatore di Art X Lagos. Inoltre la fiera, la più grande dell’Africa occidentale, presenta un elenco ridotto di espositori di sole dieci gallerie, tra cui Nike Art e Louisimone Guirandou, con più di 200 opere dedicate alla storia dell’Africa.
Un successo responsabile
Un sentimento di ottimismo ha pervaso il mercato dell’arte africano, nonostante la crisi economica globale. C’è uno zoccolo duro di collezionisti del continente che ha reso molti galleristi africani meno dipendenti dalle fiere occidentali. Ecco perché, ad esempio, due nuove gallerie, Kó, fondata da Kavita Chellaram, e Ada, di proprietà della art consultant Adora Mba, hanno aperto rispettivamente a Lagos e Accra, in Ghana. Anche le gallerie africane si stanno espandendo nel mercato europeo con un buon ritmo.
La Gallery 1957 di Accra ha lanciato un nuovo spazio a Londra il 23 ottobre, per ovviare al rigoroso blocco di sei mesi istituito dal governo ghanese, che proibiva, tra l’altro, a opere e persone di viaggiare fuori dal Paese. Victoria Cooke, direttrice della galleria, afferma che «questo clima insolito è diventato un vantaggio per le vendite poiché i collezionisti, a causa del distanziamento sociale, possono confrontarsi con più calma e privacy con lo staff della galleria». Inoltre, la domanda di opere di artisti africani e della diaspora nera è in aumento. La Cooke osserva che, il giorno di apertura della fiera 1-54 di Londra l'8 ottobre, la galleria ha registrato un sold out con i lavori di Yaw Owusu, Gideon Appah, Tiffany Alfonseca e Kelechi Nwaneri.
Stesso risultato per Polartics, fondata a Lagos da Oyinkansola Dada due anni fa e che ha aperto uno spazio a Londra: nel suo stand sono andate a ruba le opere di Ekene Emeka-Maduka. Ma il boom viene gestito con responsabilità. «C’è sicuramente più appetito per il lavoro di artisti africani, ma cerco di assicurarmi che il 70% dei nostri collezionisti sia nero, prevalentemente afroamericani e nigeriani», dice Dada, che fa anche firmare ai collezionisti contratti in base ai quali le opere non possono essere vendute per i cinque anni successivi dopo l’acquisto, «in modo che le opere non vengano comprate da persone che le intepretano come una tendenza esotica».
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