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Henri Rousseau, «Moi-même, portrait paysage», Praga, Národní Galerie

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Henri Rousseau, «Moi-même, portrait paysage», Praga, Národní Galerie

Il candore di Henri Rousseau al Musée d'Orsay

Dopo la rassegna veneziana del 2015 una mostra «complementare» a Parigi

Luana De Micco

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Parigi. Le giungle immaginarie di Henri Rousseau arrivano al Musée d’Orsay. Dopo il Palazzo Ducale di Venezia, dove è stata presentata lo scorso anno, la mostra «Henri Rousseau. Il candore arcaico» è ora presentata al museo di Parigi fino al 17 luglio. Con qualche variazione sul tema, che la conservatrice Beatrice Avanzi, curatrice della mostra insieme a Claire Bernardi, ci riassume in qualche parola: «La mostra parigina riprende lo stesso tema, l’arcaismo, ma è stata adattata per mettere l’accento innanzi tutto sul contesto francese e internazionale. Non c’è più il nucleo italiano che caratterizzava la mostra veneziana. Diciamo che qui ci siamo ricentrati su Rousseau. Le due mostre in questo modo sono complementari».

Per il presidente del d’Orsay Guy Cogeval, il cui mandato alla testa del museo è stato appena rinnovato per un anno, la mostra parigina è più «completa». Si sono aggiunti infatti alcuni prestiti importanti, tra cui il ritratto-manifesto «Moi-même, portrait paysage», prestato dalla Národní Galerie di Praga. Il quadro fu dipinto in occasione del Salon des Indépendants del 1890. Qui l’artista (Laval, 1844-Parigi, 1910) si ritrae in abito scuro, tavolozza e pennelli alla mano, berretto in testa e atteggiamento fiero davanti a una giovane Tour Eiffel.
Come nel caso della mostra di Venezia non si tratta solo di una retrospettiva. La cinquantina di quadri del «doganiere» Rousseau (un soprannome che l’artista deve al suo lavoro, presso gli uffici daziari di Parigi), autodidatta, spesso tacciato come naïf, sono esposti accanto alle opere dei predecessori illustri che lo hanno ispirato, come Cézanne, e dei contemporanei che, prima di altri, avevano capito il suo valore, tra cui Picasso che, come ha ricordato Cogeval, cercava in Rousseau «il bambino che riposa in noi». Sono esposte in tutto 110 opere. Bisogna arrivare alle ultime sale per vedere i celebri paesaggi delle giungle nati dall’immaginazione dell’artista (Rousseau infatti non lasciò mai Parigi), con la loro natura lussureggiante, abitata da fiere selvatiche e personaggi onirici. Come la donna del «Rêve» (1910) stesa nuda su un divanetto tra fiori giganti mentre due leoni la guardano con gli occhi spalancati dalla sorpresa. O la figura misteriosa della «Charmeuse de serpents», l’incantatrice di serpenti, i cui occhi brillano nella notte.
Gli esperti sono concordi nel ritenere che sia impossibile mettere un’etichetta sul lavoro di Henri Rousseau. Ma proprio la sua originalità, e questa è la tesi dell’esposizione, fa di lui uno dei casi più interessanti della storia dell’arte, a cavallo di due secoli: Rousseau fu piuttosto figlio del XIX secolo o protagonista del XX? Il dibattito, scrive il museo, è ancora aperto.

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Henri Rousseau, «Le rêve» © 2016. Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence

Henri Rousseau, «Charmeuse de serpents/L’Incantatrice di serpenti», 1907, Parigi, Musée d’Orsay © RMN-Grand Palais (Musée d’Orsay)/Hervé Lewandowski

Veduta della mostra. Foto di Luana De Micco

Foto della mostra. Foto di Luana De Micco

Veduta della mostra. Foto di Luana De Micco

Luana De Micco, 24 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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