Stefano Causa
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Su alcuni dei quadri più belli della nostra vita sono venute a posarsi le mosche. Nel ritratto di certosino del quattrocentesco Petrus Christus un esemplare corre sul bordo della tavola. Come dire: dentro e fuori il dipinto. Mosche domestiche, dalle ombre rigorosamente portate, zampettano sui parapetti delle Madonne venete di Carlo Crivelli e una indugia poco sopra il capezzolo del Cristo di Giovanni Santi, il babbo di Raffaello. Mosche svolazzano nel teschio su tavola di Maurizio Bottoni come se, nel 2001, fosse quello il vero e unico labirinto di Fontanellato; mosche intrudono le nature morte seicentesche e, nel 1970, finiranno per posarsi sulle labbra di Yoko Ono, non ancora vedova Lennon. Stanche della micrografia fiamminga, cresceranno a dismisura. Nel film di David Cronenberg del 1986 uno scienziato capace di tele trasportarsi si trasforma in una mosca maxi king.
Sono segni di vanità, memento mori e Belzebù «signore delle mosche». Gli esempi non si contano specie tra i maestri del Nord. Ma da quando il mondo si è riempito di figure il planamento di una mosca è attestato irrefutabile della perentorietà di un’immagine e del talento di un maestro nel fingere vero ciò che è dipinto. Illusionismo della specie più alta e volatile. Una piccola storia dell’arte dalla parte delle mosche è sottotitolo per questo maestoso volume di Franco Maria Ricci, Musca depicta, pubblicato in occasione della mostra al Labirinto della Masone a Fontanellato (conclusasi il 30 giugno). Lo ha curato Sylvia Ferino che ha integrato mirabilmente un saggio, ormai quarantennale, di tema moscoso di André Chastel, qui in parte riproposto. Gli altri testi di Carlo Ossola, Giuseppe Olmi e Lucia Tongiorgi Tomasi rivelano come, mettersi dalla parte delle mosche, significhi nientemeno che interrogare le immagini sul doppio registro iconografico e stilistico.
Niente male per un insetto fastidioso («babbo che eri un gran cacciatore di quaglie e di fagiani caccia via quelle mosche che non mi fanno dormire, che mi fanno arrabbiare», canta nel 1977 Lucio Dalla in «Com’è profondo il mare»). Ma posto che la missione dei buoni libri sia mettere le ali al lettore (quattro nel caso, ma solo due atte a volare), la caccia all’intruso è appena agli inizi. Dopo Christus le mosche regine, a parte quella sul teschio del Guercino incontrato dai pastori, sono occupate a succhiare il sangue sulla ferita del pitocco nel «San Tommaso da Villanova» di Luca Giordano. E sono tre. Un trio di ditteri che, posto ad altezza d’uomo, il visitatore che ronza per le sale di Capodimonte è portato a scacciare via con la mano.
Musca Depicta. C’è una mosca sul quadro,
a cura di Sylvia Ferino ed Elisa Rizzardi, 186 pp., ill. col., Franco Maria Ricci, Fontanellato 2024, € 78
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