Gauri Gill, «Jannat, Barmer», 1999-in corso (particolare)

Cortesia dell’artista e di James Cohan, New York

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Gauri Gill, «Jannat, Barmer», 1999-in corso (particolare)

Cortesia dell’artista e di James Cohan, New York

Il lato «umano» del Prix Pictet arriva a Verona

Gli scatti dell’indiana Gauri Gill, vincitrice della decima edizione del premio svizzero, sono esposti al Palazzo della Gran Guardia assieme a quelli di altri dodici fotografi per l’unica tappa italiana

Testimoni di un’umanità in fuga, in lotta, in condizioni estreme, con i disastri creati dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali e umane, in cerca di una ritrovata relazione con la natura, testimoni di cambiamenti ambientali epocali dove gli umani sembrano smarrirsi

Sono dodici i fotografi selezionati per la decima edizione del Prix Pictet, fondato nel 2008 dall’omonimo gruppo bancario svizzero e dedicato alla sostenibilità nelle sue varie declinazioni, che, con il titolo «Human», ha iniziato il tour internazionale nel settembre del 2023 al Victoria & Albert Museum di Londra (ogni ciclo ha una durata di 18 mesi, Ndr) e fa ora la sua unica tappa italiana a Verona, al Palazzo della Gran Guardia (fino al 2 marzo). Vincitrice è la fotografa indiana Gauri Gill (nata nel 1970, vive a New Delhi) che dal 1999 segue le popolazioni nel deserto del Rajasthan, la cui esistenza è segnata da una continua sfida con gli eventi climatici. Le sue foto, in bianco e nero, raccontano di uomini, donne e bambini, gli occhi puntati verso l’obiettivo, poche cose, ambienti scarni in cui emerge la dignità della persona.

Il colombiano Federico Ríos Escobar (Manizales, 1980) è invece il vincitore del primo People’s Choice Award del Prix Pictet: il pubblico ha scelto le foto scattate da Escobar seguendo il percorso impervio di migranti nella foresta e nel fango, attraversando fiumi con l’acqua fino alla vita, lungo il «Path of Desperate Hope», il Corridoio del Darién che collega l’America del sud con quella centrale, dove la Panamericana per una sessantina di chilometri si interrompe.

La ricerca dell’umano non avviene solo nelle regioni periferiche del mondo, ma anche in un giardino domestico, rinato dall’abbandono, nella civilissima Inghilterra, dove Siân Devey (Brighton, 1964) ha fotografato i visitatori che posavano tra i fiori in tempo di pandemia. L’italiano Alessandro Cinque (Orvieto, 1988) ha documentato la vita in un Perù avvelenato dagli enormi scavi per le miniere. Non meno impattante è la polvere di carbone che si infiltra ovunque, anche sotto la pelle delle persone, nella regione della Silesia, nel sud della Polonia, dove è nato nel 1983 Michał Łuczak. L’iraniana Hoda Afshar (Tehran, 1988) ha seguito le tradizioni legate al vento nel sud del paese, mentre Richard Renaldi (Chicago, 1968) cerca nei suoi dittici le «Armonie turbate». Dittici sono anche quelli dell’ucraina Gera Artemova (Kiev, 1973) che nel «Diario di guerra» cerca una perduta normalità. Si va dall’Islanda onirica, in bianco e nero, uscita dai ghiacci che si sciolgono di Ragnar Axelsson (Raykjavik, 1958), alla resilienza nel Messico violento tra le «lucciole» luminose di Yael Martinez (Guerrero Mexico, 1984), dalle piccole scolare dell’inglese Vanessa Winship (North Lincolnshire, 1960) nei villaggi di confine in Turchia, dove l’istruzione delle bambine solo negli ultimi anni è diventata più diffusa, ai giochi per le strade di New Orleans di bambini della generazione post Katrina del francese Vasantha Yogananthan (Grenoble, 1985).

Federico Ríos Escobar,«Amleto devastato», 2022

Camilla Bertoni, 11 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

Il lato «umano» del Prix Pictet arriva a Verona | Camilla Bertoni

Il lato «umano» del Prix Pictet arriva a Verona | Camilla Bertoni