Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Alain Elkann
Leggi i suoi articoli
Mentre alla National Gallery di Londra è in corso fino al 15 gennaio 2017 la mostra «Beyond Caravaggio», nella stessa città la galleria Robilant+Voena presenta fino al 27 gennaio «In pursuit of Caravaggio», una rassegna che riunisce un eccezionale gruppo di 12 dipinti caravaggeschi (da Bartolomeo Manfredi ad Antiveduto Grammatica, Giovanni Baglione, Dirck van Baburen, David de Haen, Matthias Stomer e Theodor Rombouts) a dimostrazione del ruolo svolto dagli antiquari nella comprensione e nella divulgazione dell’arte di Caravaggio e dei suoi seguaci, come sottolinea l’antiquario Marco Voena (Torino, 1961) nell’intervista che segue, tratta dal catalogo della mostra (edito da Umberto Allemandi).
Marco Voena, com’è nato il suo interesse per la pittura?
Il mio approccio fu inaspettato. Iniziò all’età di 18 anni quando mi trovai a dover preparare un discorso per una visita della scuola agli Uffizi di Firenze. Ero affascinato dal mistero e dal simbolismo della storia e del significato celati dietro a un quadro. Mentre studiavo il famoso ritratto del duca di Urbino di Piero della Francesca agli Uffizi per la presentazione alla mia classe mi chiedevo perché il ritratto fosse stato dipinto di profilo. Mi affascinò venire a sapere che il duca aveva un solo occhio. Ovviamente, il modo più consono per l’artista era di ritrarlo di profilo. È un esempio molto semplice di come lo studio e la ricerca rivelino diversi livelli di significato. Fu questo a spingermi a studiare e a capire i quadri.
Quale fu la sua fonte d’ispirazione?
Il grande connoisseur di Rinascimento italiano Bernard Berenson. La sua biografia rimase sul mio comodino per tutto l’inizio della mia carriera. Ironia della sorte, non era un appassionato di Barocco.
Ha studiato storia dell’arte?
Ho fatto un dottorato di ricerca all’Università di Torino in storia dell’arte, durante il quale ho avuto l’occasione di studiare con straordinari storici dell’arte italiana, tra cui Andreina Griseri, Giovanni Romano ed Enrico Castelnuovo.
Dove e quando comprò il suo primo dipinto?
Mentre ero all’università comprai per mio padre, in una galleria di Torino, un quadro senza attribuzione. Fu la mia prima scoperta. Quando lo vidi mi colpì il fatto che fosse simile al lavoro del pittore senese Bernardino Mei, di cui avevo visto le opere in una mostra a Siena qualche anno prima. Quando trovai la firma «BM» in basso a destra, capii che il mio istinto non si era ingannato. Più tardi, mentre facevo delle ricerche su quest’opera, la trovai documentata in una guida della pittura senese scritta da Ettore Romagnoli. Per un ragazzo di una ventina d’anni fu un momento inebriante.
Come ha capito che voleva diventare mercante d’arte?
Istintivamente. All’inizio volevo essere un connoisseur e un collezionista, ma non avrei potuto competere con figure leggendarie come il barone Thyssen, di cui, in gioventù, ho spesso visitato la collezione a Lugano con mia madre. Ho capito che il solo modo di possedere i grandi capolavori era diventare un mercante. L’unica differenza tra mercante e collezionista è che per il primo la proprietà di un’opera è temporanea. Possiedi un capolavoro per un minuto, un’ora, un giorno o un anno. Non puoi averla per sempre. È un approccio casanoviano al collezionismo.
Com’è iniziata la sua carriera di mercante?
Nel 1984, all’età di 23 anni, ho comprato in asta da Sotheby’s Londra il mio primo quadro da rivendere. Era un paesaggio firmato da Salvator Rosa. Qualche anno dopo ho aperto la mia prima galleria a Torino. Nel 1994 mi sono allargato a Milano, nel 2005 ho aperto uno spazio a Londra con Edmondo di Robilant e nel 2014 a Saint Moritz. È curioso che molti anni dopo io abbia ricomprato quel paesaggio per la mia collezione privata, un ricordo di come tutto questo è iniziato.
Iniziò interessandosi alla pittura barocca?
Non particolarmente. All’inizio ero interessato allo stesso modo ai dipinti antichi italiani, francesi e spagnoli, dal Gotico al Neoclassicismo.
Si considera uno specialista di artisti italiani?
Ora mi sono specializzato in arte italiana. Essendo italiano non potevo farne a meno.
Che cosa la attira così tanto nel Barocco italiano, un periodo di cui Caravaggio sembra essere la stella?
Amo l’ambiguità dell’arte barocca e di Caravaggio. Non mi piacciono le cose «semplici» perché la vita non lo è, è un grande poema, e Caravaggio lo aveva capito. In qualche modo è la stessa ragione per cui oggi alle persone piace Basquiat, che è il «Caravaggio» di oggi. Entrambi esplorarono la luce e le ombre della condizione umana. Furono entrambi estremi. Fu questo a consentire loro di nobilitare diversi aspetti della vita di strada e così facendo la loro arte presenta verità artistiche più profonde di quella dei loro contemporanei. Toccarono la gente in modo più universale. Voglio però chiarire una cosa: non credo che l’arte di Caravaggio sia barocca. Credo che abbia «istigato» al Barocco. Si tratta di una differenza importante. Il Barocco nasce a Roma negli anni Trenta del Seicento. Questo è spiegato molto bene in un famoso saggio di Giuliano Briganti, «La nascita del Barocco» in Pietro da Cortona o della pittura barocca. Il Barocco fu ispirato anche da un altro grande artista spesso trascurato in questa discussione, Annibale Carracci. Caravaggio e Carracci aprirono insieme la strada al Barocco.
Era interessato ai caravaggisti già all’inizio della sua carriera?
Sì. Nel 1990 comprai una «Sacra Famiglia» di Bartolomeo Cavarozzi a un’asta di New York. Lo vendetti all’Istituto San Paolo. Era la prima volta che un’istituzione finanziaria italiana investiva in arte, analogamente alla collezione del fondo pensioni della British Rail.
Può indicarmi un’altra delle sue scoperte?
Nel 1992, mentre andavo in taxi dal mio albergo all’aeroporto alla fine di un viaggio a New York, rilanciai al telefono per un quadro che avevo appena visto da Sotheby’s. Era il ritratto di un uomo attribuito a Battistello Caracciolo, il più grande dei caravaggeschi napoletani. Dopo averlo acquistato lo portai a Torino per farlo pulire. Rimasi stupefatto dal risultato: aveva tutti i segni di Caravaggio. Chiesi a Mina Gregori, una dei principali specialisti di Caravaggio, di vederlo. Anche lei credeva che fosse opera del maestro. Ma avevo bisogno di una conferma accademica per essere sicuro. Mandai il quadro a New York perché lo vedesse Keith Christiansen, curatore di pittura al Metropolitan Museum of Art, che fu d’accordo con noi. Poi lo mostrai a Sir Denis Mahon, sicuro anche lui che fosse di Caravaggio.
Come stabilisce che un quadro è l’originale e non una copia?
Mi fido del mio istinto e della mia esperienza. Oggi la connoisseurship non è abbastanza apprezzata ma è molto importante. Quando ho un quadro davanti a me, i dettagli mi aiutano a capire se è stato dipinto da un artista o da un altro, se è una copia o l’originale. Deriva dall’intuito e dalla conoscenza.
Compie degli errori?
Naturalmente, ma mai con gli artisti importanti perché sto molto attento quando compro le loro opere. Commetto degli errori con gli artisti meno noti, di cui non conosco a sufficienza l’opera. È così che si continua a imparare.
Chi consulta quando ha un dubbio su un dipinto antico?
Consulto ancora Keith Christiansen al Metropolitan Museum of Art. In questo campo è uno dei migliori storici dell’arte e connoisseur. All’inizio della mia carriera mi rivolgevo a Sir Denis Mahon, che diede nuovo impulso all’interesse per il Barocco in un modo simile a Roberto Longhi.
Da giovane torinese come si è sentito la prima volta che ha venduto un quadro al Metropolitan? Che cosa significa per un mercante d’arte vendere a musei di questa importanza?
Non sono cresciuto in una famiglia di mercanti d’arte (mio padre era medico e mio nonno industriale), perciò percepire che sono nella posizione di offrire opere scelte dai curatori per essere esposte nei più importanti musei del mondo è un onore enorme. Ed è anche una grande motivazione. Avere un dipinto attualmente esposto nella mostra «Beyond Caravaggio» alla National Gallery di Londra, il tempio dell’arte antica, mi fa sentire emozionato oggi come la prima volta in cui vendetti un quadro a un museo torinese,la Galleria Sabauda, nel 1990.
È spinto dalla passione per l’arte?
Assolutamente sì. Sarebbe impossibile senza passione. L’arte per me è un antidepressivo. Non sono mai depresso. Quando ho bisogno di trovare il mio equilibrio prendo il catalogo di una mostra o vado in un museo. Con la passione per l’arte non ti senti mai solo. Hai in tutto il mondo sempre degli amici che puoi andare a trovare sotto forma di quadri e sculture.
Lei è anche un uomo d’affari e al momento sembra che la pittura antica sia fuori moda.
La moda va e viene. La pittura antica non è fuori moda in tutto il mondo, perché le società mutano e si evolvono. Collezionisti cinesi, malesi, mediorientali e africani stanno creando delle nuove collezioni e i loro gusti non seguono le mode occidentali. Per quelli europei e americani oggi è più facile sentire e capire l’arte moderna e contemporanea perché quando le cose vengono avvertite come borghesi non vanno più di moda. E non si può classificare la pittura antica come un’entità quando si parla di mode perché si spazia dall’arte gotica al Neoclassicismo. Inoltre, le opere molto importanti non sono mai fuori moda. Per quanto riguarda Caravaggio e il suo mondo, dubito che passi di moda come successe in passato. È diventato un marchio globale, come Picasso.
Oggi si preferisce comprare in asta o nelle gallerie?
Chi vuole l’adrenalina preferisce rilanciare in asta, ma altri preferiscono la tranquillità delle gallerie. Quando si fanno affari con un mercante mancano la pressione e l’immediatezza dell’acquisto che invece si trovano in asta, dove devi vincere contro qualcun altro in poco tempo e se non riesci ad aggiudicarti l’opera il rimpianto può durare a lungo. Alcuni preferiscono comprare in fiera, una via di mezzo tra l’asta e la galleria perché, anche se compri da un mercante, la decisione deve essere presa in un breve lasso di tempo.
Oggi sono principalmente musei e collezionisti privati a comprare dipinti antichi?
Recentemente gli acquirenti di dipinti antichi tendono a essere musei e fondazioni piuttosto che collezionisti privati. Ce ne sono meno di prima ma quelli che restano comprano con grande passione. La cosa interessante è che i collezionisti non comprano per speculare ma per la propria soddisfazione personale a differenza di quelli di arte moderna e contemporanea. Un mio amico, Leone, ad esempio ha acquistato circa 250 dipinti barocchi romani e napoletani negli ultimi quarant’anni e non ne ha venduto uno! Mi ritengo fortunato ad aver condiviso il mio amore per i caravaggeschi con collezionisti privati straordinari come Luigi Koelliker. Il rapporto tra un mercante e un vero collezionista può essere profondo.
Sono i prezzi realizzati in asta a stabilire il valore del mercato dei dipinti antichi?
Sono contrario all’idea che il prezzo che un quadro raggiunge in un giorno debba essere usato come parametro per le opere di quell’artista da lì in avanti. È un concetto che viene dall’America. È come la borsa dell’arte: il prezzo d’asta per un quadro è relativo solo a quel giorno, momento, ora e solo per quel quadro. Non può essere usato come parametro per un altro dipinto proposto un altro giorno. Non è la stessa cosa.
Un’opera di Caravaggio è senza prezzo?
No, non è senza prezzo; è un’espressione che non ha senso. Negli anni Ottanta un Caravaggio è stato comprato dal Kimbell Art Museum di Fort Worth (Texas) a 20 milioni di dollari. C’è un ordine di prezzi per i quadri top dei grandi maestri antichi, 30-80 milioni di dollari, non di più.
Quanti sono i Caravaggio di cui si conosce l’esistenza?
Circa 60, e azzarderei a dire che dai 5 ai 10 sono ancora in collezioni private.
Perché si colleziona?
Per ragioni diverse: per affermazione sociale, per hobby, per fantasia. Collezionare può essere un’importante via di fuga per chi svolge un lavoro impegnativo o per chi vive lontano dalle città dove hanno sede i grandi musei come Parigi, Roma o Londra. L’arte è un modo per fuggire alla routine. Come ho detto prima, è un antidepressivo. Collezioniamo arte e ci sentiamo liberi. L’arte è una parte fondamentale delle nostre vite di tutti i giorni e, così come si deve mangiare tutti i giorni, direi che anche il bisogno estetico è quotidiano.
I collezionisti giovani sono interessati ai dipinti antichi?
Sono ottimista a proposito della nuova generazione, ma non mi soffermo a pensare se i giovani siano o meno interessati. Cerco di trasmettere il potere e l’importanza dell’arte quindi la mia principale preoccupazione in quanto mercante di pittura antica è cercare di trovare parte del nostro passato storico artistico che è perduto. Tutto quello che troviamo nel passato è importante per il nostro presente e futuro.
Lei si interessa anche di arte contemporanea?
Mi piace l’arte contemporanea. Ho comprato la mia prima opera d’arte contemporanea, di Gilbert & George, nel 1996. Le opere contemporanee naturalmente sono gli Old Master del futuro. Oggi i grandi artisti del XX secolo, da Picasso a Fontana, sono già diventati degli Old Master. La difficoltà con l’arte contemporanea è che richiede una grande attenzione perché non è stata ancora filtrata dal giudizio del tempo. Per comprenderla davvero si deve essere collezionisti attivi e guardarsi costantemente intorno per capire che cosa sta succedendo e che cosa accadrà in futuro. La cosa meravigliosa del contemporaneo è che gli artisti sono sempre un passo avanti rispetto a tutti noi.
Vede un fil rouge tra la pittura antica e l’opera degli artisti contemporanei?
Certamente, perché è sempre collegata alla mentalità degli Old Master. Tutti gli artisti guardano al passato.
Lei sembra essere personalmente molto coinvolto nell’allestimento delle sue mostre. La presentazione è una parte importante dell’esposizione?
Credo che ogni dettaglio sia importante, compreso il modo in cui si espongono le opere a parete o le si incornicia, non importa se in una mostra pubblica o privata. Penso molto a come presentare le opere e credo di essere stato uno dei primi ad accostare opere di secoli diversi su uno stesso tema o soggetto. La prima mostra di questo tipo che ho organizzato era a New York e Milano nel 1999 in collaborazione con Gian Enzo Sperone, quando mettemmo i fondi oro italiani vicino ai quadri dorati di Lucio Fontana. In Fontana si trovano le stesse suggestioni mistiche dei quadri religiosi del XIV-XV secolo. È su questa idea che è stata costruita Frieze Masters.
Ha sempre lo stesso obiettivo e la stessa passione oggi di quando ha iniziato?
Sì, anche se è un po’ meno romantica di un tempo. Una volta era più semplice, più puro. Oggi è più complicato perché il mondo dell’arte è diventato un business, e come tutti i business non sempre risponde alle intenzioni iniziali. La mia era di essere libero di scoprire, studiare, comprare e vendere, ma in modo semplice. Ciò che conta è che le grandi opere d’arte passino ancora tra le mie mani, anche se solo per un minuto, un’ora, un giorno o un anno.