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Susanna Paparatti
Leggi i suoi articoliGessi, terrecotte, disegni, olii, tempere e acqueforti per illustrare la dinamica dell’opera di Antonio Canova che nel marmo trovò la materia preferita, lessico con il quale dar vita alle sue celebri sculture. Fino all’11 ottobre al Centro Saint-Bénin la mostra «Antonio Canova all’origine del mito» riunisce oltre 60 opere provenienti dalla Fondazione Canova. Curata da Mario Guderzo, direttore del Museo Gipsoteca di Possagno, e da Giancarlo Cunial, la mostra vanta alcune rare testimonianze, come un nucleo di gessi eseguiti per lo studio e la preparazione di opere marmoree andate disperse. Il percorso è stato allestito con l’intento di evidenziare la nascita di una scultura: dagli schizzi propedeutici al bozzetto in terracotta, alla statua in argilla, passando per la versione in gesso, sulla quale i «repère», ovvero i piccoli chiodi posizionati ad arte per l’intera superficie volumetrica, servivano da guide per riportare sul marmo i rapporti e le proporzioni volumetriche. Fra i più noti rappresentanti del Neoclassicismo italiano Antonio Canova (1757-1822) subì la fascinazione per la narrazione mitologica così come prese a modello la concezione statuaria della figura greca; non a caso fra gli altri ritroviamo in mostra i gessi di Elena, «Adone incoronato da Venere», «Endimione dormiente» e «Venere con Amore» (nella foto, «Ettore», 1816). Dopo l’inizio presso la bottega dei Torretti Canova frequenterà a Venezia la scuola del nudo dell’Accademia, ma saranno i busti e le statue in gesso di epoca greco romana custodite nella galleria di Palazzo Farsetti, su Canal Grande, lo spunto per numerosi disegni che gli studiosi sostengono essere stati determinanti per il lavoro svolto a Roma, dove giunge per la prima volta nel 1779. Al Centro Saint-Bénin spiccano il gesso della «Danzatrice con le mani sui fianchi» (1812) e il busto in marmo di Francesco I d’Austria eseguito nel 1804. Completano l’insieme alcune opere di artisti legati al lavoro del Canova.