Lisa Movius
Leggi i suoi articoliDopo quasi tre anni di assenza dalla scena mondiale il presidente cinese Xi Jinping sta partecipando al vertice del G20 (15-16 novembre) a Bali, in Indonesia. Dopo i primi incontri con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i suoi consiglieri, si dice che sia stata evitata una nuova «guerra fredda», nonostante le posizioni opposte su questioni chiave come i problemi in Taiwan e la guerra in Ucraina.
Nel frattempo, la situazione è meno pacifica sul fronte interno. L’immagine più significativa della Cina quest’autunno è anche la più semplice: il 13 ottobre un insieme di ideogrammi rossi dipinti a mano su due striscioni bianchi sono stati appesi sul ponte Sitong a Pechino. Apparsi prima del congresso nazionale del partito cinese (dal 16 al 22 ottobre), che ha conferito a Xi un terzo mandato quinquennale come presidente, gli striscioni, presumibilmente disegnati da Peng Lifa, recitavano: «Rimuovete il traditore-dittatore Xi Jinping!».
Le proteste pubbliche sono rare nella Cina di Xi, con le piazze monitorate in modo sempre più rigido, ma gli striscioni hanno scatenato proteste in tutto il mondo, soprattutto da parte di coloro che sono scappati dalla Cina a causa delle politiche di Xi, tra cui le repressioni nello Xinjiang e a Hong Kong, l’ossessione aggressiva per ottenere la totale sparizione dei casi di Covid e la limitazione della libertà di espressione.
«Con l’ascesa di Xi Jinping, c’è stato un generale irrigidimento ideologico in Cina, non solo in campo culturale, ma ancora prima nelle università, nei media e gradualmente nell’arte contemporanea, afferma un curatore anonimo con sede in Cina. Sembra davvero che il tango precedente (tre passi avanti, due indietro, a volte due passi avanti e tre indietro) sui margini della libertà di espressione in Cina si sia bruscamente fermato, addirittura invertendo la rotta. Alcuni scherzano sull’”età dell’oro liberale di Hu Jintao" [il presidente precedente], che ovviamente non era affatto tale».
La censura nella Cina continentale, compresa la soppressione delle arti, è precedente all’ascesa al potere di Xi nel 2012, ma da allora i confini di ciò che è permesso si sono costantemente ritirati. Artisti, curatori e critici paragonano la situazione a delle mura che si stanno gradualmente innalzando.
Dopo un giro di vite sulla scia del massacro di Piazza Tienanmen del 1989, a metà degli anni Novanta e Duemila la Cina ha vissuto un’inebriante ma relativa libertà, che ha favorito l’emergere di una scena artistica ormai consolidata. I riferimenti espliciti al sesso o alla politica erano, come oggi, vietati, ma tutto il resto, comprese le sottili allegorie, erano permesse.
Soprattutto dopo le proteste del 2019 e le successive repressioni a Hong Kong «le linee rosse si sono ristrette; ciò che riusciva a passare inosservato ora è più controllato» afferma il curatore, che registra anche un netto aumento dell’autocensura e dell’emigrazione della classe culturale, chiedendosi «se la crisi di fiducia sia dovuta principalmente alla censura o alla rigida chiusura dovuta al Covid (tenendo conto della comune tendenza a viaggiare di curatori e artisti)».
In questo contesto, il discorso di apertura di Xi al congresso nazionale del partito ha fornito alcuni indizi sull’agenda culturale ufficiale della Cina, che invita a «promuovere la fiducia nella propria cultura, proiettando la cultura socialista verso nuove glorie». In un estratto pubblicato dal Museo d’Arte nazionale della Cina, Xi ha dichiarato che il Paese deve «sviluppare prospere organizzazioni e imprese culturali» con un «orientamento creativo incentrato sulle persone, introducendo un maggior numero di opere straordinarie che rafforzino la forza spirituale del popolo... coltivando un ampio gruppo di talenti culturali e artistici con capacità sia morali che artistiche».
La Cina, ha proseguito Xi, dovrebbe «implementare le strategie per stimolare i grandi progetti dell’industria culturale». Sebbene le aperture verso una migliore conservazione del patrimonio e la promozione dell’arte cinese a livello globale sembrino obiettivi lodevoli, i requisiti di rettitudine morale degli artisti segnalano un’ulteriore rigidità.
Certamente non verranno incluse iniziative come quelle degli artisti che il 16 ottobre a Parigi, guidati dall’artista Chiang Seeta, hanno indossato abiti imperiali cinesi e maschere del volto di Xi mentre lottavano contro giganteschi tamponi. Lo stesso giorno Zhisheng Wu, uno studente cinese della School of the Art Institute di Chicago, ha percorso Time Square fino al collasso, vestito con 27 tute bianche uguali a quelle indossate dagli ispettori del Covid.
Il nostro curatore anonimo conclude: «Siamo solo all’inizio della festa: ora il Grande Leader può davvero insediare i suoi fedeli ai massimi livelli, e il suo potere sarebbe ancora più grande».
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