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Un frammento del papiro di Artemidoro

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Un frammento del papiro di Artemidoro

Il papiro di Artemidoro: molto più vero che falso

Lo stupefacente pronunciamento del procuratore di Torino riapre il caso del contestato manufatto. Le posizioni degli specialisti internazionali da noi interpellati divergono da quelle finora prevalenti in Italia

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Anna Somers Cocks

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Nel Regno Unito i tribunali evitano di pronunciarsi su questioni di contraffazione o di autenticità relative all’arte perché sanno che si tratta di campi minati: sono quindi rimasta incuriosita e sorpresa quando, prima di Natale, come ultimo atto nella sua funzione pubblica, il procuratore della Repubblica di Torino ha formalmente dichiarato falso il Papiro di Artemidoro.

Nel caso ci sia ancora qualcuno in Italia che non sappia di che cosa si tratti dopo 12 anni di polemiche sui giornali, ricordiamo che è un papiro lungo 2,5 m con disegni di mani, teste e piedi umani e oltre 40 animali fantastici e reali, una carta geografica unica per il mondo antico, e testi in greco sulla natura della geografia e una descrizione della Spagna. Deve il suo nome al fatto che lo si ritiene una versione parziale della perduta Geografia di Artemidoro da Efeso del I secolo a.C. I falsi sono un soggetto sempre amato dai media, per cui ho deciso di indagare.

Ciò che ho scoperto mi ha sorpresa perché, se la percezione del pubblico in Italia è che il Papiro di Artemidoro sia un falso, una convinzione supportata dal fatto che i suoi proprietari, la Fondazione 1563 per l’Arte e Cultura della Compagnia di San Paolo, lo conserva in un deposito (accessibile tuttavia agli studiosi), la grande maggioranza dei papirologi fuori dall’Italia ritiene che sia autentico.

Ma, per prima cosa, devo presentare le principali parti in causa. Sul ring, nell’angolo di quelli che lo ritengono falso, c’è Luciano Canfora, ex professore di filologia greca e latina all’Università di Bari; nell’angolo di quelli che invece lo reputano autentico c’è Salvatore Settis, ex direttore dell’Istituto di Archeologia di Pisa. Vale la pena di notare come, sebbene siano entrambi studiosi classici, nessuno dei due sia un papirologo. Entrambi godono di grande considerazione in Italia, quindi la disputa è stata personalizzata dai media, cosa che non ha contribuito alla causa della verità.

Il principale problema del papiro è l’incertezza sulle sue origini e quello che sembra essere stato un tentativo fraudolento di fornirgli una provenienza. La spiegazione ufficiale è che sia stato legalmente esportato dall’Egitto nel 1971 da Hagop Simonian, direttore e liquidatore ufficiale del museo privato Khashaba di Assiut, che lo avrebbe venduto a suo fratello Serop Simonian, un mercante di antichità di Amburgo, nella forma di un ammasso di papiro, in tedesco un «Konvolut», del tipo utilizzato nell’antico Egitto per riempire gli animali imbalsamati come noi potremmo fare accartocciando un vecchio giornale.

Poi, nel 2008, è misteriosamente emersa una fotografia di un Konvolut con testi visibili del Papiro di Artemidoro. Ciò avrebbe dovuto spiegare le ragioni del permesso di esportazione dall’Egitto, perché oggetti di questo tipo non sono poi così attraenti, e sarebbe anche stato un forte argomento a favore della sua autenticità, ma non ci sono fotografie dell’ammasso mentre viene aperto, e la Polizia Scientifica di Marche e Abruzzo ha provato come quest’unica immagine sia in realtà un fotomontaggio.

In effetti, non esiste nessun documento pubblico che attesti lo srotolamento del papiro. Ho rintracciato Hans Westhoff, il restauratore che, come dice la relazione del pubblico ministero torinese, lavorò sul papiro a Stoccarda negli anni Settanta per conto di Simonian. Westhoff è ora in pensione, ma è stato un dipendente del Württembergisches Landesmuseum, oltre ad avere lavorato per Simonian. Ha iniziato a descrivere, in modo lucido, come avesse portato il papiro a un collega specialista del Salzburg Museum essendo lui esperto solo in dipinti; come il papiro fosse stato appiattito e di come fosse
stato difficile perché era «impregnato di olio o colla». Ma alla richiesta di ulteriori dettagli, si è improvvisamente tirato indietro: «Ho 80 anni; forse era un altro papiro, non ricordo».

Canfora mi ha detto che la rivista «Polizia e Democrazia» pubblicò due articoli sul Konvolut, che egli consegnò all’allora procuratore della Repubblica Gian Carlo Caselli, suggerendogli di tenerne conto. Il successore di Caselli, Armando Spataro, decise di avviare un procedimento penale contro il mercante Simonian per avere venduto un falso alla Fondazione San Paolo, pro veritate, come dice Canfora, perché sapeva che erano stati superati i termini della prescrizione.

A chiunque legga le conclusioni finali del pubblico ministero nell’atto dell’archiviazione del caso, appare chiaro come questi sia fermamente dalla parte di Canfora nella battaglia sull’autenticità del papiro, ma apparentemente all’oscuro di tutte le prove contrarie, forse perché sono quasi tutte in inglese. La reazione da parte di Settis è stata immediata: «Ma che cosa ha da dire il procuratore Spataro...Bocciato», ha scritto su «Il Fatto Quotidiano».
Settis è un attore principale in questa storia. Quando era a capo del Getty Research Institute tra il 1994 e il ’99, consigliò l’acquisto del papiro, ma Simonian voleva 2 milioni di dollari, mentre il Getty era disposto a pagarne solo uno.

Nel 1999 il papiro venne pubblicato per la prima volta dopo le presentazioni a Bruxelles e Parigi da parte di Claudio Gallazzi dell’Università degli Studi di Milano e di Bärbel Kramer dell’Università di Trier, entrambi rinomati papirologi. Gallazzi supervisionò anche il restauro del papiro dopo la sua apertura avvenuta «a Stoccarda» secondo quanto ha affermato.

Nel 2004 la Fondazione San Paolo venne invitata dall’allora ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani e da Settis a comprare il papiro per 2,75 milioni di euro per farne il pezzo centrale della nuova esposizione sull’Egitto ellenistico del Museo Egizio di Torino, al quale la Fondazione aveva appena contribuito con 25 milioni di euro facendone la prima fondazione museale d’Italia.

Nel 2006 il papiro venne esposto per la prima volta nel torinese Palazzo Bricherasio in occasione dei Giochi Olimpici Invernali, dopo di che la direttrice del Museo Egizio, Eleni Vassilika, ricevette una lettera da Zahi Hawass, allora direttore generale delle antichità egizie, che avanzava dubbi sulla provenienza del papiro e minacciava la sospensione di tutte le missioni archeologiche di istituzioni che non rispettassero le regole dell’Egitto. In effetti, il papiro non è mai stato esposto al Museo Egizio perché, come mi disse Vassilika, lei aveva dubbi sulla legalità della sua esportazione, ma non sulla sua autenticità, come è stato erroneamente riportato dai media.

Canfora pubblicò allora un articolo sul «Corriere della Sera» denunciando come falso il Papiro di Artemidoro e da allora ha scritto sull’argomento un gran numero di articoli e libri, attribuendo il papiro al falsario del XIX secolo Costantino Simonidis. Le polemiche che seguirono ebbero come conseguenza una serie di convegni, conferenze e articoli a livello internazionale. L’ironico commento di Peter Parsons, ex titolare della cattedra di greco all’Università di Oxford e direttore dell’Oxyrhynchus Papyri Project, fu: «È stato molto gratificante per i papirologi che normalmente vivono nell’oscurità tra mucchi di frammenti». Ma proseguì dicendomi che gli argomenti di Canfora in merito a calligrafia e testi erano stati ampiamente confutati da numerosi studiosi.

Più di tutto il papiro stesso è una prova in favore dell’autenticità, sostiene Parsons. La datazione al carbonio 14 ha dimostrato senza ombra di dubbio che il supporto data tra il 40 a.C. e il 130 d.C. e non è plausibile, a suo parere, che un falsario abbia trovato un antico papiro vergine di 2,5 m di lunghezza e abbia inventato un testo antico da scrivere sulla sua superficie fragile e dura. Egli sostiene che la calligrafia del Papiro di Artemidoro non ha niente a che vedere con le approssimative maiuscole greche del papiro del Periplo di Annone contraffatto da Simonidis e conservato a Liverpool. Roberta Mazza della Manchester University, che ha lavorato sul materiale di Simonidis conservato a Manchester, conferma che non ci sono affinità con il Papiro di Artemidoro.

Concorda Jürgen Hammerstaedt, che ha la cattedra di papirologia all’Università di Colonia, anch’egli fermamente convinto dell’autenticità del Papiro di Artemidoro: «Gli scribi scrivevano lungo le fibre del papiro per ottenere un effetto estetico, mi ha spiegato, ma con un papiro disidratato giunto ai nostri giorni, ciò non sarebbe stato possibile». Mi ha anche fatto notare il fatto che Canfora non ha mai pubblicato un papiro prima di quello di Artemidoro: «Occorre un’esperienza diretta dei papiri, come quella che il medico deve avere con il paziente. Ad esempio, l’asserzione di Canfora che le grazie dei caratteri provino che sia scritto in stile bizantino è priva di qualsiasi fondamento; occorre osservare la scrittura nel suo insieme, non le singole lettere. Altri colleghi hanno mostrato come la calligrafia sia simile a quella trovata su alcuni papiri da Ercolano (cioè, anteriore al 79 d.C., Ndr)».

Ulteriori prove dell’autenticità del papiro vengono da Giambattista D’Alessio dell’Università di Napoli, che ha evidenziato come il Papiro di Artemidoro presenti tracce di inchiostro, come su una carta assorbente, nei punti in cui si è concentrata umidità rimanendo arrotolato per secoli. Sebbene queste dimostrino che i suoi frammenti sono stati assemblati in ordine errato dai restauratori, rappresentano una prova ulteriore dell’elevata improbabilità di una contraffazione.

Rimane la questione dei disegni. Quelli sul recto, di mani, piedi e teste, possono sembrare un po’ troppo belli per essere veri, neoclassici piuttosto che classici, e sono stati messi in dubbio da Richard Janko, ordinario di studi classici alla Michigan University, che vede una stretta relazione tra una delle teste e un’incisione del falsario Simonidis. Altri studiosi hanno fatto paragoni con le illustrazioni dall’Encyclopédie di Diderot (1751-72), o con un manuale francese di disegno del 1740, ma queste somiglianze sono più generiche che puntuali e quindi ben lontane dal dirimere la questione su basi stilistiche.

D’altra parte, il bestiario disegnato sul verso depone a favore dell’autenticità di tutti i disegni. Ci sono stretti parallelismi tra alcuni di questi e i disegni di animali fantastici su antichi papiri ritrovati a cavallo tra il XIX e il XX secolo a Ossirinco in Egitto, cioè dopo la morte del falsario Simonidis (questa ricerca sta per essere pubblicata da Helen Whitehouse dell’Ashmolean Museum di Oxford). Quindi perché i disegni delle parti del corpo siano dei falsi, bisognerebbe credere che un falsario abbia trovato il papiro autentico con il suo testo autentico e disegni autentici sul verso e che abbia in seguito aggiunto i suoi disegni negli spazi vuoti.

Al momento si tende a concordare sul fatto che, dopo che la finalità geografica del Papiro di Artemidoro venne abbandonata per una ragione che non conosciamo, esso sia stato usato in una bottega da altre mani, per realizzare schizzi per vari usi, che si trattasse di disegni per un mosaico pavimentale o bozzetti per sculture.

L’analisi degli inchiostri risolverà prima o poi qualsiasi dubbio in merito all’autenticità del papiro in tutte o in alcune delle sue parti, ma al momento non ancora. Dopo la pubblicazione della sintesi del pubblico ministero, i giornali hanno reso noto che l’inchiostro del Papiro di Artemidoro è stato analizzato dall’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio archivistico e librario (Icrcpal) e che la sua direttrice Maria Letizia Sebastiani ha dichiarato che il carbone in esso contenuto è troppo puro per essere antico.

Canfora mi ha detto che l’Istituto ha confrontato questo inchiostro con quello di sei papiri antichi conservati presso l’Università di Lecce, ma Mazza sostiene che siano necessarie moltissime analisi di reperti di datazione e provenienza certe perché i risultati di qualsiasi analisi spettrografica possano datare l’inchiostro; l’analisi è in grado soltanto di dire di che cosa è fatto l’inchiostro e quindi deve essere confrontata con dati di riferimento.

Il Papiro di Artemidoro è attualmente nel limbo. Dal 2014, quando il Museo d’Antichità di Torino lo ha esposto con una didascalia che dichiarava il suo status dubbio, è rimasto in un deposito. Ho chiesto al professor Parsons che cosa pensi si possa fare per risolvere la controversia e lui ha suggerito che una commissione composta da membri dall’International Association of Papyrologists raccolga e valuti tutte le prove.

La questione della provenienza è la più spinosa. Ho contattato presso la sua galleria di Amburgo l’unica persona che potrebbe illuminarci, Serop Simonian, ma non ha intenzione di parlare. Il suo assistente mi ha chiesto di inviargli un’e-mail con le domande, ma non ho ricevuto risposta.
 

Anna Somers Cocks, 01 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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