Luana De Micco
Leggi i suoi articoliIl 17 settembre scorso al Musée de l’Homme di Parigi si è tenuta una cerimonia sciamanica. Un momento unico e simbolico: si trattava infatti di rendere omaggio a sei amerindi di etnia kali’na della Guyana francese, che alla fine dell’800 erano stati esposti negli «zoo umani» della città e le cui spoglie sono conservate nel museo parigino, racchiuse in sei cofanetti, su cui sono scritti i loro nomi: Pékapé, Couani, Emo-Marita, Mibipi, Makéré e Miacapo.
Più di un secolo dopo, i loro discendenti si stanno battendo perché i resti degli antenati possano tornare a casa, in Guyana, ma c’è una complicazione: la legge per la «restituzione dei resti umani presenti nelle collezioni pubbliche», adottata in Francia il 19 dicembre 2023, per volontà della ex ministra della Cultura, Rima Abdul Malak, si applica agli «Stati terzi» e non ai territori francesi d’oltremare, tra cui proprio la Guyana. Un nuovo dispositivo giuridico è dunque necessario. Alla cerimonia del Musée de l’Homme, con danze, canti e preghiere, era presente una delegazione di familiari dei kali’na, vestiti in abito tradizionale, in arrivo dalla Guyana, dei capi villaggio e uno sciamano del fiume Maroni, oltre che alcuni responsabili politici e rappresentanti del museo, tra cui la direttrice Aurélie Clemente-Ruiz. All’origine di questa rivendicazione c’è Corinne Toka Devilliers, guyanese residente in Bretagna, che nel 2018, guardando un documentario in tv sugli «zoo umani», ha scoperto la storia di una sua antenata, Moliko, la nonna di suo nonno. Ha quindi costituito un’associazione, Moliko Alet+Po, e contattato il museo parigino.
All’inizio del 1892, 33 amerindi kali’na, tra cui Moliko, che all’epoca aveva 12 anni, uomini, donne, bambini, anziani, partirono in nave dalla Guyana in direzione del porto di Saint-Nazaire, sulla costa atlantica della Francia, con la promessa di un lavoro retribuito. A bordo c’era l’esploratore François Laveau, inviato in Sudamerica da Geoffroy de Saint-Hilaire, direttore del Jardin d’Acclimatation, un parco di divertimenti nel Bois de Boulogne, a Parigi, che ospitava quelli che all’epoca venivano chiamati «spettacoli etnologici», come se ne erano già visti in Germania, una delle derive scandalose della colonizzazione. Qui i kali’na vennero esposti al pubblico e umiliati, costretti a mostrarsi mezzi nudi in pieno inverno e a far finta di essere dei selvaggi. Il Jardin d’Acclimatation, aperto nel 1860, ospitò una trentina di questi «spettacoli» tra il 1877 e il 1931, attirando migliaia di visitatori, indica il sito dello stesso parco, che non elude il pesante passato: «Malgrado le denunce di alcuni antropologi, si legge, queste esposizioni contribuirono a modellare i pregiudizi della popolazione francese nei confronti dei popoli colonizzati e a confortare le teorie razziste di cui si impossesserà il nazismo». Dopo un periodo di declino, il parco fu acquisito e restaurato negli anni ’80 da Lvmh, la holding di Bernard Arnault, proprietario della vicina Fondation Vuitton. Dei 33 kali’na, otto morirono per il freddo prima dell’arrivo della primavera. Il corpo di uno di loro fu donato alla scienza. Un altro fu sepolto nella regione di Parigi. Gli altri sei entrarono nelle collezioni del Musée de l’Homme. La giovane Moliko tornò in Guyana insieme agli altri sopravvissuti.
I conservatori del museo, collaborando con Corinne Toka Devilliers, sono riusciti a risalire all’identità della maggior parte delle 33 persone, consultando gli archivi del Musée du quai Branly, che conserva un fondo importante di fotografie delle diverse «tipologie umane», all’epoca realizzate a fini scientifici. Oggi Corinne Toka Devilliers e gli altri discendenti dei kali’na chiedono le «scuse ufficiali della Francia» e che delle targhe commemorative siano affisse su tutti i luoghi dello scandalo. Ma soprattutto reclamano che la giustizia faccia rapidamente il suo lavoro: «Il Governo non può più permettere che le loro spoglie restino in queste scatole grigie», aveva detto Corinne Toka Devilliers a margine della cerimonia. I familiari hanno il sostegno del Musée de l’Homme: «Sono persone chiaramente identificate. Conosciamo i loro nomi e le loro vite. Oggi sembrerebbe normale poterli seppellire con le loro famiglie, aveva osservato la direttrice Aurélie Clemente-Ruiz. Se potessimo restituirli, lo faremmo, ma il quadro giuridico non lo permette». «Faremo il possibile per garantire il ritorno a casa di queste persone», aveva aggiunto Martin Friess, responsabile scientifico delle collezioni del Musée national d’Histoire naturelle. Non c’è dubbio che, da un punto di vista etico, questi resti umani non appartengono più a questo luogo».
Uno dei casi più noti di restituzione di resti umani in Francia risale al 2012, quando una legge ad hoc aveva permesso la restituzione alla Nuova Zelanda di 20 teste mummificate di maori, conservate al quai Branly. Nel 2020 Parigi ha autorizzato un prestito a lungo termine all’Algeria di 24 teschi di resistenti algerini morti nello scontro con i soldati francesi durante l’assedio di Zaatcha del 1849, conservati sempre al Musée de l’Homme. Ma negli ultimi anni, anche su impulso del presidente Macron, la questione della restituzione ai Paesi legittimi dei beni culturali conservati in Francia, in cui si includono le opere saccheggiate in epoca coloniale e trafugate dai nazisti, è diventata centrale. Essa implica un quadro giuridico specifico dato il carattere «inalienabile delle collezioni nazionali», valido dal XVI secolo. Poiché però i casi e le richieste di restituzione sono numerosi, il Parlamento francese sta lavorando a leggi «di principio generale» per semplificare e velocizzare le procedure di restituzione. Di qui la legge del 2023 per la «restituzione dei resti umani», considerata «storica» dallo stesso Ministero della Cultura, che si applica a tutti gli Stati che ne fanno richiesta e riguarda «tutte le persone decedute dopo il 1500 le cui condizioni di ingresso nelle collezioni pubbliche violano il principio di dignità della persona umana». Il testo introduce delle «deroghe» al principio di inalienabilità, punta ad una «gestione etica» delle collezioni nazionali e «incoraggia i musei francesi a lanciare e approfondire lavori di ricerca sulle loro collezioni». Lo scorso dicembre il Governo si era impegnato a lanciare una missione parlamentare per analizzare il caso specifico dei territori francesi d’oltremare. Un report dovrebbe essere presentato entro la fine dell’anno, ma i lavori sono in ritardo anche a causa della recente crisi politica in Francia. Da fonti di stampa, il Musée national d’Histoire naturelle di Parigi, a cui fa capo il Musée de l’Homme, conserva circa 24mila resti umani, perlopiù anonimi, di cui 8mila francesi. Di questi 1.200 provengono dai territori e dai dipartimenti e regioni d’oltremare.
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