Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Anna Maria Farinato
Leggi i suoi articoliAlexandra «Sascha» Suda, da tre anni direttrice e amministratrice delegata del Philadelphia Art Museum (già Phildelphia Museum of Art-Pma), è stata sollevata dal suo incarico ieri, martedì 4 novembre. Il Consiglio di amministrazione del museo ha interrotto il rapporto di lavoro via mail e senza fornire motivazioni. Fino alla nomina di un sostituto a gestire l’ordinaria amministrazione sarà Louis Marchesano, vicedirettore degli affari curatoriali e della conservazione.
Suda era stata assunta a luglio 2022 dall’Ontario, in Canada (è nata a Toronto nel 1981), subentrando a Timothy Rub, alla guida dell’istituzione da 13 anni. Già al suo arrivo a Filadelfia aveva dovuto affrontare una serie di sfide impegnative, in primis gestire uno sciopero indetto da un centinaio di dipendenti iscritti al sindacato che rivendicavano il rinnovo del contratto, fermo da due anni. Alla neodirettrice spettava inoltre il compito di risollevare attività e affluenza dopo il Covid-19 e di modernizzare il marchio del museo fondato nel 1877, uno dei più grandi degli Stati Uniti.
Enfant prodige del mondo museale, nel 2019 Suda è diventata la persona più giovane a essere nominata direttrice e amministratrice delegata della National Gallery of Canada dalla Prima guerra mondiale. Nel 2020 ha presieduto la giuria che ha scelto Stan Douglas per rappresentare il Canada alla Biennale di Venezia. Dopo la laurea in Lettere alla Princeton University, un master al Williams College e un dottorato di ricerca presso l’Institute of Fine Arts della New York University, Suda ha iniziato la sua carriera al Metropolitan Museum of Art di New York. Nel 2011 è tornata a Toronto, entrando nell’Art Gallery of Ontario (Ago) come curatrice di arte europea. Qui ha ristrutturato, rivisitato e rivitalizzato con successo collezioni e programmi dell’Ago relativi alle opere europee su carta. Anche la mostra da lei curata, «Small Wonders: Gothic Boxwood Miniatures», presentata in Ontario, a New York e Amsterdam aveva ricevuto ottime recensioni. Insomma, aveva tutte le carte in regola per risollevare anche il «Pam».
Un mese fa, l’8 ottobre, Suda ha lanciato il rebranding e il cambio di nome del museo, che da «Philadelphia Museum of Art» è ora il «Philadelphia Art Museum». È stato introdotto un nuovo logo, progettato dallo studio newyorkese Gretel, che riprende il simbolo storico del museo, il grifone. Come riferisce Maya Pontone su Hyperallergic, i commenti non sono stati tutti lusinghieri, anzi, tanto che il suo articolo s’intitola: «La gente lo odia proprio il rebranding del Philadelphia Art Museum». A qualcuno il nuovo logo ha ricordato l’etichetta di una birra, il simbolo di una società sportiva, un marchio di abbigliamento per giovani o una «mostruosità da Guerra Fredda» e l’abbreviazione del nome del museo in PhAM ha dato la stura sui social media a fantasiose varianti, tra cui il poco onorevole PhArt (omofono del termine che in inglese designa un’emissione rumorosa di gas intestinali).
Tutta l'operazione sarebbe costata 250mila dollari. In una dichiarazione rilasciata al «Philadelphia Inquirer», Yoram Wind, trustee del PhAM, ha sottolineato: «Siamo un museo straordinario con una collezione straordinaria, curatori straordinari e un’esperienza straordinaria, ed è davvero un peccato che ci siano state battute e reazioni negative al rebranding» aggiungendo che il Cda è venuto a conoscenza del progetto definitivo solo quando è stato reso pubblico. «In sostanza non l’ha mai approvato. Ci aspettavamo di vederlo dopo che il consiglio avesse dato il suo feedback e di vedere la versione definitiva in modo da poterlo approvare o almeno vedere che cosa avevano intenzione di fare. Ma è stato lanciato e ne siamo rimasti sorpresi come tutti gli altri».
Altri articoli dell'autore
La nona edizione della Triennale belga, che dissemina di sculture contemporanee la costa del Mare del Nord, si terrà da marzo a novembre. Il progetto curatoriale ispirato da una residenza in Sicilia
Da settembre a novembre la prima edizione della Biennale uzbeka esplorerà arte, artigianato ed emozioni attraverso il cibo. Folta la partecipazione internazionale con, tra gli altri, Antony Gormley, Eva Jospin, Wael Shawky, Carsten Höller, Subodh Gupta, Erika Verzutti e Binta Diaw
Nell’antico complesso di Marsiglia l’artista installerà un’inedita opera monumentale ispirata allo spirito del luogo
Una settantina di artisti internazionali (dall’Italia, Binta Diaw e Bekhbaatar Enkhtur) parteciperanno all’edizione inaugurale della rassegna uzbeka, in programma da settembre a novembre. Sarà anche l’opportunità per avviare un progetto permanente e a lungo termine per rivitalizzare spazi dell’antica città sulla Via della Seta



