La poesia degli elementi naturali, come il vento e l’acqua, la trasparenza di materiali nobili, come l’alabastro, o poveri, come la carta di riso e la cera, la fragilità di rametti, foglie o fili di erbe selvatiche. Sono gli elementi con i quali costruisce le sue opere Gregorio Botta (Napoli, 1953) protagonista con una nuova personale da Atipografia, la galleria d’arte e associazione culturale sorta dalle ceneri di una storica tipografia ad Arzignano (Vi).
La mostra, dal titolo «Disgelo», a cura della fondatrice e titolare dello spazio, Elena dal Molin, sarà visitabile dal 27 febbraio fino al 24 aprile. Tra le opere esposte, la maggior parte realizzate per questa occasione, aleggia il senso del tempo, del suo scorrere, come appare in «Non ancora», un libro le cui pagine, bianche, non ancora scritte, girano sfogliate da un soffio di aria. «L’attesa di qualcosa che sta per accadere permea il percorso, racconta l’artista. A dare il titolo alla mostra è “Aprile”: una piccola lastra di alabastro, assottigliata e trasparente, lascia intravvedere una foglia di capelvenere come vi fosse rimasta imprigionata. Poggiata su una vasca, lascia scorrere al di sotto dell’acqua: ho pensato al disgelo, quando sembra che qualcosa si riveli, si compia, è un lavoro che mette insieme molti dei miei temi. La lastra è posta in orizzontale davanti alla parete su cui viene proiettato ogni cinque minuti un video con uno scroscio di cascate in crescendo. Un minuto, e poi si ricade nel silenzio, solo il leggero sgocciolio, in una ciclica alternanza».
«Disgelo» è anche il titolo di tre opere di carta di riso incerata che in altro modo suggeriscono gli effetti dello scioglimento del ghiaccio e lo svelamento di ciò che vi è rimasto imprigionato. Da un verso di Emily Dickinson, «Each second is the last», inciso su una tavola di cera, escono gocce d’acqua, come lacrime, o come zampilli di una sorgente che scorrono sulla superficie dell’opera. Velari di cera si muovono al passaggio delle persone, ancorati da un sasso la cui rudezza materica è in contrasto con la loro leggerezza. Chiude il percorso «La danse» dove due forme si muovono grazie a un meccanismo: «Non vanno in sincrono, spiega Botta, se non in un solo momento, suggerendo in quell’attimo un pas de deux». «Botta lavora sull’essenziale, sull’atto del togliere, spiega Elena dal Molin, sull’assenza, sulla leggerezza e sulla semplicità delle forme. I suoi lavori sono delicati e intrisi di poesia, allo stesso tempo racchiudendo la forza degli elementi e dei materiali, di ciò che si trova in natura. La mostra tocca quindi alcuni dei temi molto cari alla ricerca della galleria: il silenzio, la lentezza, l’intimità che si crea tra il visitatore e l’opera d’arte presentata».
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Gregorio Botta, «Velario», 2024. Cortesia dell’artista