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Serena Macchi
Leggi i suoi articoliA partire dalle prime esperienze nella scena musicale underground di Boston e New York tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, nella sua carriera Christian Marclay (1955) ha esplorato le complesse relazioni tra immagini e suoni. Motivo ricorrente nel suo lavoro sono i frammenti sonori e visivi che, estrapolati da vinili, cassette e film, sono riassemblati e ricomposti infondendogli nuova vita. L’artista e compositore americano si è interessato in particolare alla questione del tempo nella cultura contemporanea. Cos'è un film se non il tempo catturato e condensato sulla pellicola? Cos'è un album musicale se non l'effimera transitorietà del suono, incisa nella permanenza? L’autore riflette così sull'esplorazione dei processi di trasformazione che rendono qualcosa di immateriale e sfuggente, come il tempo, una merce concreta e commerciabile.

Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York
Ripercorrendo gli albori delle sue sperimentazioni, Christian Marclay fa ritorno a Boston, la città dove ha intrapreso la sua formazione artistica. Questa primavera presenta un'opera inedita, «Doors» (2022), che debutta per la prima volta negli Stati Uniti. Il film è visibile presso l’Institute of Contemporary Art (ICA) fino al 1° settembre. Si tratta di un accuratissimo lavoro di found footage, tecnica cinematografica che utilizza materiale video o audio preesistente e archiviato per creare nuovi film, in cui l’artista ha assemblato centinaia di brevi clip cinematografiche che mostrano persone entrare, uscire e passare tramite soglie. Attraverso porte. Che come sottolinea lui stesso «sono oggetti affascinanti, ricchi di simbolismo. Possono nascondere o rivelare, esprimere opposti di luce e oscurità, esterno e interno, aperte o chiuse… Sono comuni, eppure misteriose. Ci troviamo a chiederci cosa ci sia dall’altra parte, dove potremmo finire. All’ignoto associamo paura e ansia, ma anche attesa e possibilità.» Frutto di oltre un decennio di lavoro, questo collage di immagini in movimento attinge a quasi tutti i generi di cinema, spaziando dalla Nouvelle Vague ai blockbuster hollywoodiani. La narrativa visiva e sonora segue gli attori entrare sempre in nuovi e inaspettati spazi. Ogni porta segna la transizione tra un film e l’altro, immergendo lo spettatore in quella che l’artista descrive «un’architettura in cui perdersi». «Doors» è un’avventura continua, con la costante possibilità di trovare una situazione imprevista dalla parte opposta della soglia. Alcune scene comiche si ripetono creano un leitmotiv interno in cui momenti di tensione vengono alleggeriti da scene divertenti. Il tutto in una perfetta sincronizzazione che fa dubitare dell’assemblaggio a posteriori delle parti.

Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York
Contemporaneamente, al Moma di New York il prossimo 11 maggio si alza il sipario sul celebre lavoro «The Clock», 2010. Sintetizzando un secolo di storia del cinema, questo video è un montaggio lungo 24 ore di un migliaio di clip. Tratte da film e programmi televisivi, queste sequenze mostrano orologi e altri riferimenti al tempo che, di minuto in minuto, corrispondono perfettamente con l’ora locale. James Bond guarda l’orologio alle 00:20; Meryl Streep spegne una sveglia alle 6:30; un orologio da tasca ticchetta alle 11:53 mentre il Titanic salpa. In questo modo, l’artista fa coincidere la temporalità del film con lo scorrere reale del tempo. L’opera appare così un vero un tour de force cinematografico, ma anche come uno strumento per tenere traccia del passare di ogni minuto in una giornata. In altre parole, questo vasto archivio cinematografico diventa un modo per raccontare il tempo presente. Attraverso un viaggio nel passato, Marclay vuole affinare quindi la percezione di un contemporaneo sempre più sfuggente. Così «The Clock» riflette sul ruolo e sul significato del tempo attraverso un confronto straniante con l’eredità cinematografica.

Christian Marclay. Courtesy Paula Cooper Gallery, New York
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