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Edek Osser
Leggi i suoi articoliIn Arabia Saudita non serve l’Isis, perché la dissoluzione del patrimonio storico e culturale è già pianificata dalle autorità pubbliche
In silenzio, con un programma pianificato, in Arabia Saudita è in corso la distruzione, ormai quasi completa (cfr. n. 335, ott. ’13, p. 1). Moschee storiche, tombe, mausolei, monumenti, case: oltre il 90% dei quartieri antichi nelle città più sante dell’Islam, è stato raso al suolo per far posto a una nuova realtà urbana fatta di alberghi, centri commerciali, case di appartamenti.
Il silenzio del mondo
La cancellazione è iniziata da decenni, ma tutti hanno fatto finta di non vedere. Poche e inascoltate le denunce pubbliche: rari articoli sulla stampa (quella americana e soprattutto britannica, antesignano «The Independent» di Londra), introvabili le immagini aggiornate, accuratamente censurate. I responsabili della scomparsa di un intero universo culturale non sono i fanatici terroristi dell’Isis che da Siria e Iraq diffondono con orgoglio i filmati dei loro massacri di vite e di tesori antichi e invadono i media di tutto il mondo, ma i governanti dell’Arabia Saudita. Senza clamore, in quel Paese è da tempo in corso un programma ufficiale di dissoluzione della propria eredità culturale autorizzata e pianificata dalle autorità statali.
I lavori hanno già trasformato La Mecca e Medina in città senza passato, dominate da grattacieli e case dormitorio. Lo scopo dichiarato è costruire centri commerciali e tanti alloggi, di lusso e a basso costo, per ospitare le crescenti masse di fedeli (circa 12 milioni all’anno) che arrivano da tutto il mondo per l’Hajj, il pellegrinaggio nei luoghi santi che ogni buon musulmano dovrebbe compiere almeno una volta nella vita. Mentre tace sulle estese demolizioni, il Regno saudita esalta la grandiosità delle opere realizzate. Tra queste l’ampliamento, ancora in corso, della Moschea del Profeta a Medina che ha distrutto e occupato con i suoi spazi interi quartieri (a lavori ultimati ci sarà posto per 1,6 milioni di fedeli), e della Moschea sacra al-Haram alla Mecca (nella quale si prega girando intorno alla Kaaba): le ruspe hanno cancellato la vecchia moschea.
20 miliardi per La Mecca: una selva di grattacieli al posto del centro ottomano
I lavori fanno parte del piano di espansione da 20 miliardi di dollari, partito nel 2011, che segnerà la scomparsa definitiva di quanto resta del centro storico ottomano della Mecca, abitato dai più poveri, e dei suoi siti islamici. Decine di gru sono al lavoro per far posto al Jamal Omar Complex, una selva di grattacieli per appartamenti.
Il piano urbanistico ha fini espliciti, politici ed economici, ma è anche la realizzazione dell’ideologia religiosa dei musulmani wahabiti. Il Wahabismo è il credo dominante e la dottrina ufficiale dell’Arabia Saudita e della famiglia regnante dei Saud, fondatori dello Stato. Il padre del movimento wahabita è Muhammad ibn ‘Abd al-Wahab (1703-92), nato e vissuto in Arabia, che predicava il ritorno all’Islam delle origini, a una riforma puritana della fede. Fu lui ad attaccare come idolatria la credenza popolare nel potere dei santi e degli uomini pii e la venerazione di tombe, case, monumenti che li ricordano: questi luoghi di preghiera, diceva Abd al-Wahab, che si frappongono al dialogo spirituale diretto di ogni fedele con Dio, vanno eliminati perché simboli di peccaminosa idolatria. Proprio questi aspetti dell’ideologia wahabita (da decenni fusa ormai con quella salafita) sono alla base di tante distruzioni: da quelle clamorose dei talebani in Afghanistan (museo di Kabul e Buddha di Bamiyan nel 2001) alle tante altre, non solo in Medio Oriente.
Contro l’Islam «eretico»
Gli interpreti più estremi del wahabismo-salafismo sono oggi i terroristi dell’Isis che vogliono abbattere ogni edificio, ogni oggetto (ma salvano quelli che possono essere venduti sul mercato nero dell’archeologia) legati non solo alle religioni «altre», preislamiche e cristiane: si accaniscono anche contro monumenti o edifici «sospetti» di epoca islamica. In Arabia Saudita questa «pulizia» del proprio passato avviene da quasi un secolo, con un forte impulso negli ultimi vent’anni. L’integralismo wahabita ha portato così alla eliminazione in tutto il Paese, soprattutto nelle città sante, di ogni traccia di un Islam considerato «eretico» In questa visione arte, archeologia e cultura diventano parole senza senso. Non viene rispettato neppure il ricordo dei primi seguaci e dei parenti di Maometto.
Irfan Al Alawi, direttore della Islamic Heritage Research Foundation, istituzione saudita oggi trasferita negli Usa, denuncia da anni la disastrosa situazione di tutto ciò che è antico. Due anni fa, alla Mecca è scomparsa sotto le ruspe la casa di Hamza, zio del Profeta, vecchia di 1.300 anni, per far posto a un albergo. È stata cancellata da un grattacielo anche la casa dove Maometto era nato nel 570 d.C.
L’elenco delle distruzioni che toccano la famiglia del Profeta comprende anche la casa di Khadija, sua prima sposa, e la tomba della figlia Fatima, distrutta a Medina fin dal 1920 con quella del nipote Hasan ibn Ali, figlio di Fatima e di Ali, primo Imam degli Sciiti. Sui resti dell’antichissima casa del suocero di Maometto oggi sorge l’Hotel Hilton. Cinque delle «Sette Moschee» costruite dalla figlia di Maometto risultano eliminate 90 anni fa. Nel 2002 è stato cancellato il monumento più noto della Mecca: il forte al-Ajyad, costruito dagli ottomani nel 1780 su una collinetta accanto alla sacra Moschea al Haram. Al suo posto è sorto quello che i sauditi definiscono il più colossale edificio del mondo, l’Abraj al-Bait, costato 3 miliardi di dollari: un insieme di alberghi di lusso, centri commerciali, appartamenti e in mezzo la Torre dell’Orologio, alta 600 metri. Alla distruzione della fortezza il Governo turco aveva reagito con proteste ufficiali all’Arabia Saudita (respinte come ingerenza indebita) e denunce all’Unesco. La metamorfosi delle due città sante, Mecca e Medina, è ormai compiuta. Per ricordare quel mondo perduto restano poche testimonianze filmate e rare foto d’epoca sfuggite alla censura.
L’Arabia Saudita si può fregiare di quattro siti Unesco, ma nessuno di loro è un monumento islamico. Nel 2008 il riconoscimento è andato ai resti nabatei di al-Hijr; nel 2011 ad At-Turayf, città nel deserto, prima capitale della famiglia Saudita, dalla quale si diffuse il Wahabismo; nel 2014 al centro storico di Gedda con alcune vecchie case ottomane e la cosiddetta Tomba di Eva che resta sigillata e cementata fin dal 1975 per evitare che i pellegrini preghino davanti ad essa (idolatria!); nel 2015 sono Patrimonio dell’Umanità le rocce della Regione di Hail, coperte di incisioni rupestri preistoriche.
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