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«I.1 Splintered Light (Toledo Blue)» (1985) di John Golding

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«I.1 Splintered Light (Toledo Blue)» (1985) di John Golding

John Golding, il Vasari del Cubismo

L’artista britannico aveva una doppia carriera: pittore astratto e storico dell’arte del XX secolo

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David Ekserdjian

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Avendo il compito e il piacere di scrivere sulla vita artistica londinese e britannica e in particolare sulle rassegne espositive, sono obbligato ad accettare il fatto che la grande maggioranza dei miei lettori non sempre avrà la possibilità di visitare le mostre prese in esame. Stavolta questa circostanza rappresenta un vantaggio perché mi consente di soffermarmi su una piccola mostra già terminata. «John Golding: from Mexico to London» alla galleria Messums di Londra (14 febbraio-16 marzo) ha celebrato la storia del percorso dell’artista, cui ha fatto seguito una serie di mostre ed eventi commemorativi. Inevitabilmente in un mensile recensioni di mostre in gallerie, che di solito durano poche settimane, devono essere, per così dire, postume. Ma, fino al 28 luglio il Museo di Arte Moderna di Città del Messico ospita una mostra dallo stesso titolo (anche se temo che non verrà visitata da molti italiani). Fortunatamente giunge in aiuto un ottimo catalogo per ambedue le mostre e immagini e informazioni sull’artista e sulla sua opera sono reperibili sul sito del John Golding Artistic Trust.

Il titolo di un necrologio di John Golding (1929-2012), pubblicato sul «Wall Street Journal» a firma di Elizabeth Cowling, lo lodava come «il Vasari del Cubismo», in onore al suo primo libro del 1959: Cubism: a history and an analysis 1907-1914. Ma c’è un altro motivo per cui Golding è stato erede fedelissimo del pittore di Arezzo, meglio noto come l’autore di Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, perché aveva una doppia carriera, come pittore astratto e storico dell’arte del XX secolo. Dal 1962 al 1981 Golding ha insegnato Storia dell’arte al Courtauld Institute of Art, poi si è trasferito al Royal College of Art per insegnare pittura fino al 1986. Conosceva tutti i principali attori di questi due mondi distinti, anche se intimamente collegati, che in un certo senso sono riuniti in «From London», il ritratto di Golding con il compagno della vita (quasi quattro decenni), lo storico James Joll (1918-94), eseguito da R.B. Kitaj nel 1975.

«Veduta di Toledo» (1597-99) di El Greco, New York, Metropolitan Museum

In Italia, dopo Vasari, non ci sono stati artisti di qualità che si sono distinti anche come storici dell’arte; stranamente questa combinazione di talenti è invece una specialità britannica. I suoi due rappresentanti più famosi sono senz’altro Sir Joshua Reynolds (1723-92), primo presidente della Royal Academy, pittore del re e autore soprattutto dei Discourses, e John Ruskin (1819-1900), artefice di una grande messe di libri, non solo di storia dell’arte (The Complete Works fu pubblicata dal 1903 al 1912 in non meno di 39 volumi), e nel contempo disegnatore e acquarellista di raro merito. Altri artisti, per esempio Delacroix nel suo Diario o Van Gogh nelle sue lettere, furono grandi scrittori, ma non storici. 

Tornando a Golding, a mio avviso non ha senso provare a giudicare quale metà del suo straordinario duplice talento fu più illustre. In un’intervista con la citata Cowling, sua allieva e importante collaboratrice in mostre come «Picasso: Sculptor/Painter» (1994) e «Matisse Picasso» (2002), spiegava che per lui la storia dell’arte era sempre stata facilissima. Al contrario, una parte del fascino del dipingere, di solito a olio, ma anche a pastello, derivava dalla difficoltà: questo però non significava essere migliore come storico dell’arte piuttosto che artista. È invece necessario riflettere sulla possibilità che il suo talento di pittore influenzasse i suoi scritti, così come le conoscenze storico artistiche influissero sulla sua arte. Avendo avuto la fortuna di sentire le sue conferenze come laureando a Cambridge e dopo la laurea al Courtauld, la profonda percezione delle sue analisi visive dava l’impressione che i suoi occhi fossero di gran lunga superiori a quelli degli altri. 

L’altro suo merito eccezionale fu l’immensa curiosità che certamente non si limitava al Cubismo, come viene rivelato dal titolo del suo libro Paths to the Absolute: Mondrian, Malevich, Kandinsky, Pollock, Newman, Rothko, Still (2000), e all’arte del Novecento. Al contrario, in un’intervista con il filosofo e scrittore d’arte Richard Wollheim, pubblicata in una raccolta dei suoi saggi, Visions of the Modern (1994), Golding ha insistito nel sottolineare come i suoi interessi non fossero circoscritti a determinati periodi («la pittura tarda di [Giovanni] Bellini mi importa tanto quanto qualsiasi altra pittura al mondo»). Il giovane Golding era nato a Hastings, ma cresciuto bilingue a Città del Messico, in compagnia dei murales dei «Tres Grandes», Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e José Clemente Orozco (che stimava di più degli altri due). Dopo la laurea in arte a Toronto, non abbandonò mai il sogno di essere pittore. Le sue prime opere note sono figurative, ma dal 1965 in poi la sua pratica diventa esclusivamente astratta. All’inizio i quadri sono notevoli per l’accostamento di colori intensi a una geometria austera, ma negli anni ’70 tutto cambia: subentrano una libertà di tocco e una ricchezza di colore completamente inaspettate. Tipico di questo nuovo modo di dipingere è «I.1 Splintered Light (Toledo Blue)» (1985), omaggio alla «Veduta di Toledo» di El Greco nel Metropolitan Museum of Art di New York. Con l’avanzare dell’età Golding ha dipinto sempre meno, ma l’ultimo quadro della mostra, «L.6 (Sprite)» (2001-03), conferma che la sua materia pittorica rimase «dissolta» fino alla fine.

David Ekserdjian, 14 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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