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Il «Certificado de evitación» sottoscritto davanti a un notaio dall’artista Josep Piñol

Courtesy of the artist

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Il «Certificado de evitación» sottoscritto davanti a un notaio dall’artista Josep Piñol

Courtesy of the artist

Josep Piñol, l’Amazzonia e il «greenwashing»: sul clima non si specula

Rinuncia a realizzare una megaopera bioclimatica e con «Evitata» denuncia la perversità dei meccanismi di compensazione climatica: «Così trasferiamo il meccanismo che utilizzano le grandi imprese al mondo dell’arte», spiega l’artista spagnolo

Roberta Bosco

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Il 2 ottobre nel Museu Tàpies di Barcellona come atto finale dell’incontro internazionale «Contrariar abismos. Poéticas de escala», organizzato dal Museu Habitat (il nuovo spazio di riflessione, produzione e sperimentazione creato da Manuel Borja-Villel, ex direttore del Museo Reina Sofía di Madrid), l’artista spagnolo Josep Piñol (Tivenys, Catalogna, 1994) ha realizzato una performance in cui ha formalizzato in presenza di un notaio la rinuncia a realizzare una megaopera bioclimatica, pensata per la città di Belém in Brasile.

Con questa azione, battezzata «Evitata», Piñol riproduce e sovverte le dinamiche del mercato volontario dei «crediti di carbonio», in particolare quello delle cosiddette «emissioni evitate»: emissioni che le imprese rinunciano volontariamente a rilasciare nell’atmosfera e che per questo si trasformano in sostanziose compensazioni economiche. Purtroppo queste azioni sono spesso utilizzate come meccanismo di «greenwashing» e non si traducono in reali migliorie climatiche. L’obiettivo di «Evitata» è rivelare la debolezza e anche la perversità di questi meccanismi di compensazione climatica, trasferendo la loro dinamica al mercato dell’arte. Lo spieghiamo in un dialogo tra l’artista e la curatrice del progetto, Roberta Bosco.

Come ti è venuta l’idea di questo progetto?
Tutto è iniziato a un cocktail dove ho assistito a un brindisi tra dirigenti alle «emissioni evitate» come valore di mercato. Questo vuoto, trasformato in una merce, mi ha indignato e affascinato allo stesso tempo. Sono ossessivo: ho iniziato a fare ricerche, a parlare con avvocati, ingegneri, consulenti ambientali specializzati in «impronta di carbonio» (o carbon footprint, la misura della quantità di emissioni di gas serra rilasciate nell’atmosfera, direttamente e indirettamente associate a un prodotto, servizio, organizzazione o individuo, Ndr). Ho passato mesi a chiedere a tutti cosa diavolo fossero esattamente le «emissioni evitate». Pochissimi ne sapevano qualcosa. Poco dopo, ho concepito un progetto da realizzare a Belém, l’epicentro del dibattito sul clima e sede della COP30, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambio climatico, che avrebbe fatto da specchio a quel meccanismo di mercato.

Quest’opera, «Evitata» di nome e di fatto, è nata come una minaccia, una denuncia o che cos’altro?
Spero come un «utile paradosso». Il mercato volontario del carbonio, di per sé, non è né buono né cattivo; né lo sono i crediti per le cosiddette emissioni evitate. Il fattore decisivo è come vengono utilizzate perché molto spesso non rappresentano reali riduzioni climatiche. Non è una minaccia, ma capisco che può essere uno specchio scomodo perché riflette una logica che preferiamo non guardare. Il progetto avrebbe potuto essere realizzato, avevo già due imprese decise a finanziarlo, ma ho deciso di evitarlo e di misurare e certificare la differenza tra il carbonio che sarebbe stato emesso e ciò che alla fine non viene emesso. Praticamente trasferiamo il meccanismo che utilizzano le grandi imprese al mondo dell’arte.

Che cosa significa pagare per impedire che qualcosa accada? È la perversione definitiva del postcapitalismo?
Alcune correnti della decrescita sono sedotte dall’idea di generare valore economico dalla non materializzazione. Invece di produrre valore con un oggetto, lo si produce con la sua assenza. Si paga per disattivare una minaccia di danno: trasformare in un numero la differenza tra ciò che sarebbe accaduto e ciò che alla fine non accade. È la logica dell'indulgenza medievale trasferita al capitalismo climatico: una bolla papale contemporanea... Che, a seconda di come viene utilizzata, può essere uno strumento o una trappola.

L’opera utilizza lo stesso linguaggio e la stessa strategia del mercato volontario del carbonio. Si vendono certificati, si generano crediti e c'è persino un'equivalenza in tonnellate di CO₂. Che cosa ti interessa di questa infiltrazione nel sistema economico? È critica o complicità?
Infiltrazione critica, su piccola scala, per il momento e fino a nuovo avviso. Mi interessava particolarmente il suo potenziale pedagogico: se un giovane artista di un paesino della Catalogna come me può replicare questa logica in modo rigoroso, che cosa possono fare le grandi aziende e altre strutture di potere? L’opera non legittima il sistema: lo mette a nudo.

«Evitata» è stata acquistata da un collezionista privato. La vendita di certificati di emissione di CO₂ non riproduce forse la stessa logica che critica?
C’è una vendita, sì, ma non di un attivo climatico su cui speculare. Se avessi cercato un guadagno, avrei messo in circolazione i crediti certificati. Al collezionista che ha comprato il certificato ho trasferito solo una tonnellata di CO₂, debitamente certificata, come gesto cortesia. Le altre 57.764 tonnellate di CO₂ non vengono commercializzate, ma restano inutilizzabili perché con il clima e il futuro del pianeta non si dovrebbe mai speculare e il mio obiettivo è precisamente denunciare questo meccanismo perverso.

Avresti potuto mantenere il lavoro sul piano simbolico come atto concettuale, eppure hai deciso di portare a termine ogni passaggio. Perché?
Viviamo in tempi turbolenti... Mi sembra che a volte il simbolico non sia più sufficiente. Oggi istituzioni, aziende e governi producono finzioni contabili che hanno un impatto reale. Avevo bisogno che il lavoro attraversasse le stesse fasi, affinché il gesto non rimanesse una metafora. Non ho inventato molto, ho utilizzato una procedura esistente.

Che cosa significa dare valore al «non fare» in un mondo ossessionato dal produrre e accumulare sempre di più?
Il capitalismo premia l’azione, l’espansione, la crescita. Questo lavoro culmina nell’evitarlo, nella decisione volontaria di non realizzarlo. In tempi di emergenza, forse non tutto vale la pena di essere costruito: alcune opere parlano più in assenza che in cemento e bronzo.

Quale sarebbe stata l’opera che hai «evitato»?
Con lo slogan «Un’opera d'arte per aiutare il mondo a respirare meglio» avevo concepito una macro scultura progettata per purificare l’aria, coronata da un centinaio di figure in bronzo in giacca e cravatta, erette su bare trasformate in moduli di cattura di CO₂. L’ubicazione dell’opera sarebbe stata Belém, in Brasile, sede della prossima COP30, il vertice per combattere il cambiamento climatico.

«Evitata» è composta da modelli, contratti, rendering e certificati. Quale influenza ha la narrativa nell’arte contemporanea e nella tua pratica?
Oggi viviamo intrappolati in documenti, report e metriche che non descrivono più la realtà: la producono. In questo lavoro, la mia pratica si basa su documenti reali (bilanci, contratti, verbali) con validità operativa e legale. Se c'è finzione o narrazione, è nella storia che l’opera racconta, ma non nei miei documenti.

Josep Piñol. Foto © Enric Virgili

Roberta Bosco, 07 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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