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Karole P.B. Vail. Foto: David Heald. © The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York, 2017

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Karole P.B. Vail. Foto: David Heald. © The Solomon R. Guggenheim Foundation, New York, 2017

Karole Vail, ritorno a casa di Peggy («Ma che incubo dormire nella stanza con i quadri surrealisti»)

La neodirettrice della Collezione Guggenheim ricorda i formativi soggiorni veneziani con la nonna e sul futuro del museo dice: «Il suo compito è di riscoprire e rivalutare artisti rimasti nell’ombra»

Lidia Panzeri

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Venezia. Un testimonial di eccezione a rendere solenne il passaggio di consegne da Philip Rylands a Karole P.B. Vail, il 10 giugno, nella direzione della Collezione Peggy Guggenheim. Richard Armstrong, direttore del Museo e della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York, è volato a Venezia per ringraziare il primo e tessere le lodi di curatrice e saggista della seconda. In proposito ha ricordato la sua ultima fatica, la retrospettiva «Moholy-Nagy: Future Present» (2016), che ha riscosso unanimi consensi di critica e di pubblico, e il futuro impegno, nel 2018, per la rassegna dedicata ad Alberto Giacometti.

Per la Vail si tratta di un ritorno alle esperienze della sua infanzia a
Venezia, di cui ricorda gli itinerari tra i canali sulla gondola della nonna (l’ultima rimasta ad averne una privata) che si fermava davanti a un museo o a una chiesa. Peggy la stimolava ad entrarci e poi le chiedeva il rendiconto delle opere contenute. «È in questo modo che ho conosciuto i capolavori di Tintoretto, di Tiziano e di Giorgione», annota. Un incubo, invece, dormire nella stanza dov’erano appesi i quadri surrealisti di Ernst, Magritte e Delvaux.
«Sento tutta la responsabilità di questo mio nuovo incarico che intendo svolgere nello spirito e nell’eredità di Peggy, tenendo conto che ormai siamo entrati nel XXI secolo», ha poi dichiarato. Aggiungendo che «in questo mondo sempre più frantumato i musei offrono una possibilità di dialogo e rappresentano un’oasi di serenità».
A margine della conferenza stampa ci ha rilasciato un’intervista.

Da quando era bambina la collezione si è molto trasformata.
«Ha cambiato la sua identità da casa privata a realtà museale, uno dei musei d’arte moderna più importanti in Europa, che deve adeguarsi a standard professionali ormai imprescindibili. Peggy avrebbe apprezzato una gestione professionale e certo non aveva intenzione di fare della sua casa un mausoleo».
Il Guggenheim di New York si caratterizza come museo dell’arte non oggettiva; la collezione per il Surrealismo e per l’Action painting di un Pollock.
«Ma include anche Picasso e Braque. Per quanto riguarda il Solomon R. Guggenheim, Hilla Rebay aveva selezionate anche altre opere di tendenza diversa, ma poi ritenne che negli anni Trenta-Quaranta il filone più rappresentativo dell’epoca fosse quella dell’arte non oggettiva. Comunque Hilla Rebay e Peggy Guggenheim sono i due pilastri fondanti dei due musei».
Nessuna rivalità tra le due?
«Nessuna».
Ha parlato di apertura al XXI secolo. Che cosa intende? Peggy sapeva scoprire i nuovi talenti. È il caso di Tancredi, di cui si è appena conclusa una retrospettiva.
«Bisogna mantenere l’identità del museo che è quella di un museo di arte moderna. Piuttosto il suo compito è quello di riscoprire e di rivalutare artisti rimasti nell’ombra. Come nel caso della monografia di Rita Kernn-Larsen, in programma fino al 26 giugno».

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Lidia Panzeri, 09 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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