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L’Albertina di Vienna © Albertina

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L’Albertina di Vienna © Albertina

Klaus Albrecht Schröder ha deciso di non rinnovare il suo mandato all’Albertina

Lo storico dell’arte, 68 anni, lascerà la guida del museo viennese che aveva riaperto, rifondato inventando anche l’Albertina Modern e portato da 10mila a 950mila visitatori in vent’anni: «Tra poco vedrò meno, sentirò meno e camminerò più lento. Meglio smettere prima. Largo ai giovani»

Flavia Foradini

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Quando alla fine del 2024 cederà lo scettro di direttore, Klaus Albrecht Schröder sarà stato per un quarto di secolo alla guida dell’Albertina, una delle collezioni (di grafica, ma ormai anche di pittura e fotografia) più importanti al mondo, passata con lui da 10mila visitatori all’anno agli oltre 950mila di oggi. Prima del suo addio (già vissuto dal sistema dell’arte viennese e non solo come una vera e propria cesura) ha ancora molte frecce al suo arco, a partire dalla serie di mostre per celebrare il ventesimo anniversario della riapertura dell’istituzione viennese, nella primavera del 2003, dopo un restauro che ne ha cambiato radicalmente sia la fisionomia architettonica sia la politica museale.

Dottor Schröder, quale bilancio traccia della sua attività?
Questi vent’anni erano iniziati in realtà prima, nel 1999, quando avevo delineato il progetto di riapertura su tre assi portanti: la ristrutturazione del Palazzo in quanto memoria storica, con la riapertura al pubblico delle magnifiche sale e l’acquisto sul mercato degli arredi originali del XVIII secolo, grazie a decine di milioni di euro di sponsor e privati; la modernizzazione e l’espansione a 28mila metri quadrati (gli ampliamenti non sono visibili dall’esterno ma sono sotterranei) che hanno reso possibile un programma espositivo ambizioso dal XV-XVI secolo, da Leonardo, Michelangelo, Dürer, Raffaello, fino al XX secolo; e poi la sua trasformazione in un museo completamente nuovo, fondando altre collezioni oltre a quella grafica e perseguendo l’indivisibilità dell’arte, riunendo cioè sia disegni che dipinti di grandi artisti. La collezione fotografica è stato l’avvio; il passo successivo è stato l’arte moderna, prima con l’acquisizione della Collezione Batliner e quindi di molte altre collezioni. E infine abbiamo aperto all’arte contemporanea, che due anni fa ha portato alla creazione dell’Albertina Modern. Oggi è un museo che non ha più nulla a che fare con quello che avevo rilevato allora. Guardando indietro posso affermare che è stato un percorso coerente, di cui ero convinto fin dall’inizio e grazie a Dio se ne sono convinte moltissime persone, in primis lo staff. Da solo, senza lo staff e senza i mecenati e gli sponsor, non ce l’avrei mai fatta. Ma aggiungo che per la prima volta il museo era diventato un ente autonomo e, in quanto direttore unico, ho avuto la fortuna di poter decidere da solo.

Rimpiange di non aver realizzato meglio qualcosa?
Avrei dovuto spiegare meglio al pubblico e anche ai critici, ai giornalisti, che così com’era stata creata nel 1922, sulla base delle raccolte del duca Alberto di Sassonia-Teschen, la collezione grafica dell’Albertina non era più in grado di sopravvivere. La scelta austriaca, nei difficili anni del primo dopoguerra, di fondare un’istituzione a sé stante, indipendente, non era mai stata corretta da un punto di vista storico artistico; la separazione dei disegni dai dipinti o dalle stampe è sempre stata sbagliata, completamente obsoleta dal punto di vista artistico. Se guardiamo a Parigi, a Londra, a Berlino, le collezioni grafiche sono parte integrante di grandi musei. Nonostante ciò, con il tempo il nuovo corso imboccato ha ottenuto un’accoglienza sempre più positiva. Del resto ciò che ho fatto era l’unica via possibile, il museo che avevo ereditato non era più sostenibile così com’era. Negli ultimi vent’anni, delle mostre che abbiamo organizzato, oltre 50 hanno avuto più di 300mila visitatori, molte più di 400mila e talvolta perfino 500mila. Ogni due settimane inauguriamo una mostra: c’è movimento e c’è varietà.
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Lei è un direttore di successo, che, considerato l’establishment austriaco di vent’anni fa, nel complesso conservatore, ha vinto una scommessa rischiosa. Perché ha deciso di smettere dopo cinque mandati, alla fine del 2024?
Avrò presto 68 anni. In molti associamo la vecchiaia alla dignità, alla saggezza, alla serenità. Però io credo che dopo i 70 anni ci si accorge che si sente un po’ meno bene, si vede un po’ meno bene, si cammina più lentamente, si ha meno memoria, non si hanno più il coraggio e il dinamismo di una volta. La cosa non mi riguarda ancora, ma forse sarà così fra tre anni, o fra cinque, e quindi me ne vado prima. Ciò che mi dispiacerà e mi mancherà sarà la disposizione delle opere nelle sale, che mi è piaciuto mantenere sempre come mia prerogativa per ogni mostra.

Anche la direttrice del Kunsthistorisches Museum, Sabine Haag, ha annunciato che smetterà a fine 2024. Stiamo forse per assistere a un valzer di poltrone?
No, è vero che mi sarebbe piaciuto molto modernizzare il Khm ma, come ho detto, non mi sopravvaluto e non mi assumerò alcun compito manageriale di proporzioni titaniche come quello.

Nel suo ritiro dalla scena museale gioca forse un ruolo anche un minore interesse verso i nuovi sviluppi dell’arte?
Grazie per la domanda. No, non è affatto così. Al contrario.

Che cosa pensa di Nft e metaverso?
Il metaverso al momento non ha ancora uno sviluppo significativo. Gli Nft sono stati un enorme flop. Per due anni abbiamo studiato e sviluppato un progetto in questo senso, ma poi ho deciso di non realizzarlo: penso che sia una frode nei confronti dei destinatari, che sia ambientalmente molto discutibile e artisticamente del tutto insoddisfacente. Ma la situazione potrebbe cambiare tra qualche anno.

Perché pensa sia una frode?
Perché in fin dei conti gli Nft sono perlopiù come i poster o le cartoline che vendevamo in passato, ma un po’ più costosi.

Quando e perché ha avuto l’idea di istituire l’Albertina Modern come costola della sede principale?
La sede centrale era diventata troppo piccola: oggi soltanto di arte dopo il 1960 abbiamo 56mila opere fra dipinti, sculture, installazioni, video. Abbiamo dovuto trovare una seconda sede e stiamo già delineandone una terza, perché anche l’Albertina Modern non è espandibile e non consente di esporre in permanenza i grandi Warhol, le opere più importanti di Baselitz o Maria Lassnig o Valie Export. Gli artisti contemporanei continueranno a essere esposti sia qui che là, ma la direttrice che ho scelto per l’Albertina Modern, Angela Stief, rappresenta bene il profilo di quella sede dedicata alle espressioni artistiche dei nostri giorni: una concezione molto specifica dell’arte, del femminismo, della diversità, del dinamismo. A Vienna è già il museo d’arte contemporanea più visitato.

Com’è oggi il panorama museale in Austria?
Non c’è dubbio che i numerosi musei regionali e comunali siano diventati musei di provincia. L’importanza che avevano un tempo nelle città più piccole tra i 100 e i 250mila abitanti è diminuita. È in atto un processo di concentrazione, e un giorno si arriverà a una cernita, perché attualmente in Austria abbiamo 40 o 50 musei con un consistente budget annuale, che però hanno meno di 50mila visitatori e in alcuni casi meno di 20mila. Probabilmente questo non sarà più sostenibile.

L’ex direttore Klaus Albrecht Schroeder

Flavia Foradini, 26 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

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