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Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliEra noto già da mesi che il ritratto del principe africano William Nii Nortey Dowuona che Gustav Klimt realizzò nel 1897 durante una «mostra» etnografica a Vienna e di cui per decenni si è avuta solo una fotografia in bianco e nero, aveva una provenienza opaca. Quando nel marzo scorso venne presentato al mondo alla Tefaf a Maastricht, benché fosse poco tipico per Klimt, venne valutato 15 milioni di euro. E però non venne venduto. La spiegazione: da mesi, sottotraccia le autorità austriache stavano collaborando con le omologhe ungheresi per chiarire come quel dipinto fosse arrivato a Vienna.
Due anni fa un venditore proveniente dall’Ungheria lo aveva offerto infatti alla Galleria Wienerroither & Kohlbacher, ma per introdurlo in Austria i documenti doganali non avevano indicato che si trattava di un Klimt e il valore indicato era stato di 130 euro. «Era molto sporco, in cattivo stato», ricorda il gallerista viennese a giustificazione dell’omissione da parte del venditore. Tuttavia, hanno appurato le indagini, nel 2022 una perizia in un laboratorio di Budapest aveva attribuito l’opera all’artista: nonostante il cattivo stato di conservazione era stato possibile riconoscere il timbro del «Lascito Gustav Klimt». Il dipinto era rimasto presumibimente di proprietà dell’artista e dopo la sua morte era stato messo all’asta assieme al resto del lascito. Da qui l’accusa di falsificazione di documenti per il venditore e la richiesta magiara di bloccare ogni eventuale vendita, cosicché la procura di Vienna ha ordinato il sequestro dell’opera, che per il momento potrà restare presso la Galleria, ma non potrà essere venduta.
La provenienza del dipinto è comunque più complessa di quanto potrebbe apparire in base alle conclusioni odierne e alla richiesta magiara di riaverlo, e potrebbe essere foriera di nuovi sviluppi, anche se l’attuale proprietario e gli eredi di Ernestine Klein hanno siglato un accordo che tutela gli interessi di entrambe le parti. La prima proprietaria del dipinto era stata infatti Ernestine Klein, come risulta da documenti del 1928 che ne attestano il prestito per una mostra dedicata a Klimt. Poi però, quando dieci anni dopo si trattò di dover fuggire per sottrarsi alle persecuzioni naziste, la donna aveva ritenuto di mettere in salvo l’opera affidandola a un avvocato in Ungheria, che dopo la guerra si era rifiutato di restituirlo: una possibilità cementata dall’appartenenza del Paese al blocco sovietico. Così il dipinto era rimasto oltre cortina.
Interessante in questo contesto è che uno dei dipinti klimtiani venduto a New York nel 1994 per 11,6 milioni di dollari e nel 2023 a Londra per una cifre favolosa di 85,3 milioni di sterline, la «Signora con ventaglio», ha lasciato l’Austria presumibilmente all’inizio degli anni ’90 senza autorizzazione all’esportazione, come certifica un’interpellanza parlamentare dell’estate del 1994. La risposta a quella interlocuzione fu poi che sì, l’ufficio di Tutela delle Belle Arti si era attivato il 24 settembre 1993 e aveva sporto denuncia per violazione della legge a tutela del patrimonio culturale nazionale, ma la causa era stata chiusa perché «i responsabili non sono stati individuati». E nulla più successe.
Resta da vedere ora se l’attuale zelo magiaro solleticherà emulazione nei colleghi austriaci. Un ulteriore punto oscuro della vicenda è quale Stato, quello ungherese o quello austriaco, possa vantare il ritratto del principe nero come insostituibile parte del patrimonio nazionale, visto che nel 1897 venne creato nella capitale dell’impero austro-ungarico.
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