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L’Asta di im Kinsky del 24 aprile scorso durante la quale il dipinto «Fräulein Lieser» è stato venduto per 30 milioni di euro

© Flavia Foradini

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L’Asta di im Kinsky del 24 aprile scorso durante la quale il dipinto «Fräulein Lieser» è stato venduto per 30 milioni di euro

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Klimt forse poteva essere venduto meglio

Le argomentazioni di chi accusa e di chi difende: Eva Blimlinger ed Erika Jakubovits contro Ernst Ploil, direttore della casa d’aste im Kinsky

Flavia Foradini

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A bocce ferme, Ernst Ploil non nasconde la propria delusione per la vendita del capolavoro di Klimt «Bildnis Fräulein Lieser» (Ritratto della signorina Lieser) a 30 milioni di euro. Se confrontata con le transazioni milionarie per opere di Klimt negli ultimi anni sul mercato internazionale può ben essere definita poco entusiasmante, anche se permane la consolazione del record austriaco per un dipinto aggiudicato in asta: «Continuo a pensare che il prezzo di mercato fosse tra i 45 e i 50 milioni». Nel suo ufficio nel centro di Vienna, il condirettore della casa d’aste im Kinsky ci spiega le sue ragioni in quanto deus ex machina della vendita del «Ritratto della signorina Lieser» di Klimt, avvenuta il 24 aprile scorso. Lo fa nella veste di avvocato con lunga esperienza in cause di restituzione («ne avrò risolte una cinquantina»), ma anche come collezionista: nel campo dello Jugendstil è uno dei maggiori nella capitale austriaca da 50 anni. Non c’è museo o mostra che possa fare a meno dei suoi prestiti, un fatto che può spiegare il quasi generale silenzio o i generici commenti della scena museale viennese sul caso Lieser. 

Lo sguardo di Ploil sul mondo dell’arte austriaca tra Otto e Novecento è attento e allenato, anche se precisa: «Il mio settore è soprattutto l’arte applicata». È lui che due anni fa è stato contattato dagli eredi di una donna che in un sobborgo a nord di Vienna ha tenuto per sessant’anni quel ritratto in soggiorno, in mezzo a opere «di nessun valore». Quando si lasciò convincere a un sopralluogo («Lei non sa quanti falsi ci vengono proposti, sia in buona che in cattiva fede») l’impressione fu ambivalente: «Nessun contratto di assicurazione, nessuna inferriata alle finestre, nessun sistema di allarme. Ma anche se incompiuto e non firmato era proprio quel dipinto incluso nei cataloghi ragionati di Klimt, noto solo tramite una fotografia in bianco e nero e considerato di ubicazione ignota».

Da lì lo sviluppo di ricerche, promosse dalla casa d’aste, per ricostruirne la provenienza, considerate superficiali da osservatori ed esperti, visto che ancora non è stato accertato chi fu il o la reale committente né quale giovane donna vi sia raffigurata, né che cosa successe al quadro durante il nazismo e almeno fino agli anni Sessanta. Ma nel deal cucito su misura da Ploil, lo sfondo storico-artistico è, dal punto di vista legale, totalmente indifferente. Come è indifferente il fatto che sia spuntato sul filo di lana un ulteriore erede. «Secondo il diritto austriaco non ci sono i presupposti per la restituzione. Una transazione privata, anche se prodotta dietro pressioni o con coercizione, deve essere contestata, quindi impugnata, ma questo non è avvenuto. Nel dopoguerra, dal 1946, in Austria sono state promulgate varie leggi sulla restituzione (sette, Ndr). La terza della serie riguardava le proprietà private, ma la sua validità terminava nel 1956. Dopo quell’anno nulla poté più essere reclamato. Nessuno degli eredi Lieser lo ha fatto nei tempi concessi dalla legge. Dal punto di vista giuridico, chi ha posseduto quel dipinto dagli anni Sessanta non ha avuto nulla da temere, le leggi sulla restituzione avevano esaurito la loro validità». 

È vero che sull’onda della pressione internazionale a seguito dei sequestri a New York di due dipinti di Schiele di proprietà del collezionista viennese Rudolf Leopold, in Austria venne promulgata il 4 dicembre 1998 una nuova legge sulla restituzione, ma essa riguardava solo opere contese che fossero in possesso di istituzioni pubbliche, mentre i «Princìpi di Washington» formulati nello stesso dicembre (il giorno 3) sono linee guida legalmente non vincolanti e lasciano di fatto ogni soluzione alla buona volontà delle persone coinvolte. Se dunque, come sembra, il ritratto Lieser non fu mai in possesso di un museo, la botte di ferro creata da im Kinsky pare robusta e neppure il supposto ulteriore erede potrà intervenire sul passaggio di proprietà decretato dall’asta viennese: le sue eventuali rivendicazioni le potrà far valere solo nei confronti del già costituito gruppo di aventi diritto, che, ci dice ancora Ploil, nell’accordo aveva affermato di essere al completo.

L’avvocato, collezionista e condirettore di im Kinsky torna anche sul tema della criticata autorizzazione all’esportazione del ritratto e taglia corto: «Se qualcuno pensa che io abbia avuto un trattamento di favore da parte delle Belle Arti, non conosce né loro né me, perché il nostro rapporto è da tempo, diciamo così, difficile. La realtà è che questo caso è incontrovertibile».

Ernst Ploil, condirettore della casa d’aste im Kinsky. © Flavia Foradini

Di diverso parere sono due esperte viennesi: la responsabile per la restituzione all’Ikg (Comunità di culto israelitica) Erika Jakubovits ci dice senza giri di parole: «Credo che la Tutela delle Belle Arti avrebbe dovuto fare di più: attivarsi e controllare se davvero fosse stato fatto tutto il necessario, perlomeno per trovare tutti gli eredi. Un dipinto con quel tipo di storia alle spalle doveva essere indagato con cura e precisione: non è indifferente sapere chi fu il committente, perché da quello discendono dei diritti. Credo che il prezzo di vendita, al limite inferiore della stima, dimostri che non sia stato fatto un adeguato lavoro preliminare». Secondo Jakubovits, im Kinsky avrebbe dovuto sospendere la vendita finché non fosse stata fatta sufficiente chiarezza: «Dal 1998 vigono sia una legge austriaca sulla restituzione sia i “Principi di Washington”. Tutti, galleristi, mercanti d’arte, case d’asta e anche la Tutela delle Belle Arti, sono chiamati ad attenersi a una due diligence. Per dirla in parole povere: si è lavorato in modo sciatto».

Anche Eva Blimlinger, decana nel campo delle restituzioni (è stata fra l’altro coordinatrice dei 160 ricercatori della Commissione Storica Austriaca dal 1998 al 2003 e membro per un decennio del consiglio consultivo della Commissione sulla Provenienza), esprime un giudizio severo sul caso Lieser: «Naturalmente la Legge federale del 1998 sulla restituzione è stata promulgata troppo tardi ma è comunque la storia di un successo: l’Austria è ancora un unicum in questo senso e diversi Länder austriaci hanno promulgato leggi regionali analoghe. Nessun Paese può dire la stessa cosa e ciò che ha fatto finora la Germania sembra solo una foglia di fico. Da noi sono state restituite decine di migliaia di opere razziate dai nazisti. Naturalmente va detto che in campo privato si può procedere come si vuole, poiché manca una cornice legislativa. Però ci si può attenere agli standard della legge del 1998. Del resto negli ultimi 10-15 anni nel mercato dell’arte qualcosa è cambiato, anche se marginalmente. Quando ci sono provenienze oscure è più difficile vendere un’opera, e se dietro a una vendita c’è un calcolo di mercato, a maggior ragione bisogna far luce. Penso che il prezzo del ritratto Lieser sarebbe stato molto più alto se tutto fosse stato chiarito».

Contrariamente a quanto suggerito dal direttore dell’Albertina, Klaus Albrecht Schröder, cioè di pensare di porre un limite alle restituzioni legate al periodo nazista, Blimlinger puntualizza: «Sono d’accordo con Schröder per quanto concerne i saccheggi e i bottini di guerra, ma non in merito alle sottrazioni di proprietà di singoli cittadini: per questo campo non credo ci debba essere un limite di tempo e dissento anche dai dibattiti sull’opportunità di smettere di occuparsi di nazismo».

Di analogo parere è Erika Jakubovits: «Non si deve dimenticare che dopo il nazismo ci fu un inglorioso dopoguerra, quando sia i musei sia la Tutela delle Belle Arti ostacolarono le restituzioni. E poi per quasi cinquant’anni, fino al 1998, non c’è più stata possibilità di restituire, il che significa che siamo all’inizio della storia e non alla fine: non possiamo mettere un limite temporale. Siccome questo compito non è stato svolto adeguatamente nel dopoguerra, bisogna farlo adesso».

Per il futuro Jakubovits si dice convinta: «Il caso Lieser non è chiuso. Molti continueranno a fare ricerche, e anche noi dell’IKG: non abbiamo un incarico in questo senso, ma credo che abbiamo un dovere morale. E c’è sicuramente la necessità di ampliare la legge del 1998 per includere il settore privato: al momento ci si appoggia da un lato a quella legge, dall’altro ai “Principi di Washington”, ma poi si fa quel che conviene, invocando il fatto che si tratta di proprietà privata».

Flavia Foradini, 10 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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