Mobile da salone (1913) di Dagobert Peche

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Mobile da salone (1913) di Dagobert Peche

Quanto è pop Dagobert Peche

Al Mak di Vienna quasi 700 oggetti per ripercorrere l’opera del «più grande genio dell’ornamento in Austria», giustapposto a 30 designer, da Gio Ponti a Hans Hollein, da Alessandro Mendini a Ettore Sottsass...

«Ci ha lasciato all’età di soli 36 anni. Vienna si è di nuovo terribilmente impoverita», scriveva Berta Zuckerkandl sul «Neues Wiener Journal» il 19 aprile 1923 sulla morte di Dagobert Peche per cancro tre giorni prima, e ne ricordava l’esistenza da battitore libero: «Non era iscritto alla gilda dei pittori, né a quella degli scultori o degli architetti». Il giorno dopo la sua scomparsa, la giornalista, intellettuale e salonnière di spicco della Vienna di primo ’900 aveva incontrato alla Scuola di Arti e Mestieri un rattristato Josef Hoffmann, che aveva affermato: «Peche è stato il più grande genio dell’ornamento che l’Austria abbia avuto dal tempo del Barocco. Ma tutto quello che ha a che fare con la genialità, a Vienna pare maledetto». Riconoscendo pienamente il talento dell’allora ventottenne, nel 1915 Hoffmann aveva chiamato Peche a collaborare con la Wiener Werkstätte e lo aveva poi issato alla direzione della filiale di Zurigo nel 1916, prima del ritorno alla centrale viennese quattro anni dopo.

A Peche venne attestata già in vita un’indomabile fantasia ornamentale che pareva non avere limiti e veniva declinata nei materiali più disparati (dall’argento al vetro, dalla ceramica al cuoio, alla carta) e in prodotti che spaziavano dai mobili agli accessori di moda, dalle tappezzerie alle stoffe e ai tappeti, ai giocattoli. Le sue fonti di ispirazione furono all’inizio Aubrey Beardsley, da cui mutuò non tanto il bianco e nero quanto i «requisiti di scena» che l’artista britannico usava per l’ambientazione delle sue opere. E fu un ammiratore del Rococò, che studiò nei musei parigini.

Ora con quasi 700 oggetti a quell’artista fuori dagli schemi il Mak dedica una vasta mostra aperta dall’11 dicembre all’11 maggio 2025 con il titolo «Peche Pop. Sulle tracce di Dagobert Peche nel XXI secolo». Il Museo di Arti Applicate gli aveva dedicato una mostra già nel 1998, curata dall’allora direttore Peter Noever, «Il superamento dell’utilità. Dagobert Peche e la Wiener Werkstätte», poi trasferita anche alla Neue Galerie di New York nel 2002-03: «Allora si era voluto presentare un artista pressoché sconosciuto al grande pubblico. Dunque si trattava di offrire un quadro d’insieme della sua produzione», ci dice la curatrice dell’attuale iniziativa, Anne-Katrin Rossberg, che collaborò anche alla mostra del ’98: «Ora invece già il titolo esplicita l’intento di ampliare la nostra ricognizione tematizzando anche gli influssi esercitati dall’esuberante creatività di Peche fino all’oggi. Il termine Pop lo intendiamo quindi come “scoppio”: le sue forme, i suoi motivi, i suoi colori esplosivi portarono elementi completamente nuovi alla Wiener Werkstätte. Sostituì il rigore formale e le severe strutture con un dispiegamento di fantasia, alimentata da elementi naturali della sua infanzia, trascorsa nella campagna salisburghese, quali fiori o frutti o animali».

Fra i pezzi più rilevanti della mostra figura un armadio dalle collezioni Mak, creato per la leggendaria Kunstschau del 1920: «Quando le ante sono aperte, sembra un pipistrello con le ali spiegate, prosegue la curatrice. Dentro è foderato con la tappezzeria “Fogliame”, ancora di Peche, e sembra quasi l’ingresso al mondo di Narnia: nella produzione dell’artista vi sono motivi floreali e arcadici, ma anche elementi misteriosi o sinistri». 

Dell’inizio degli anni Venti è un interno realizzato da Peche, che ha potuto essere ricostruito per la prima volta interamente per l’occasione, riassemblando parti dalle collezioni Mak e parti da prestiti. Per seguire le tracce dell’artista nel XXI secolo, la mostra propone anche la giustapposizione di opere di 30 designer con punti di contatto o affinità con la poetica dell’artista austriaco: da Gio Ponti a Hans Hollein, da Alessandro Mendini a Ettore Sottsass, da Heimo Zobernig a Philippe Starck, da Marco Dessí a Gelatin, da Franz West a Olaf Nicolai: «Gio Ponti per esempio è più o meno coevo e alcuni suoi motivi mostrano forti analogie: per la sezione sul tema “Metamorfosi” esponiamo una delle sue mani fiorate in porcellana. Un altro esempio: nel 2021 Andreas Kronthaler ha creato per Vivienne Westwood una collezione che utilizza il motivo di Peche “Labirinto”, e ne esponiamo una variante. O ancora: nel loro video “Tinello contadino” i Gelatin hanno interpretato un candeliere umano e lo proponiamo anch’esso nella sezione “Metamorfosi”. Numerosi sono gli esempi di arte postmoderna, che pongono in primo piano la fantasia, l’umorismo, la sorpresa, l’aspetto narrativo che erano propri anche di Peche».

Spilla (1918) di Dagobert Peche

Flavia Foradini, 09 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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